Si è fatto un gran parlare nelle settimane scorse di due eventi per cui dovremmo non partecipare ai giochi europei di calcio di Polonia-Ucraina in segno di protesta:
1)La mattanza dei cani messa in atto per eliminare i randagi prima dell'arrivo dei tifosi in Ucraina, per evitare che li assaltino.
2)La detenzione di Julija Tymošenko, la quale, arrestata per una faccenda di contratti di fornitura illegalmente stipulati con la Russia che hanno portato per l'accusa a centinaia di milioni di dollari di passivo per l'Ucraina, è stata già condannata a sette anni di reclusione, condanna a cui può ancora appellarsi.
Tuttavia, ci dicono (e il "ci dicono" è d'obbilgo) che dovremmo essere indignati perché la Tymošenko è stata ricoverata in ospedale con forti dolori all'addome perché, ci dicono, che la brutale polizia ucraina guidata dai nemici politici della Tymošenko la sta malmenando e maltrattando in carcere, violando i famosi diritti civili.
Al di là di ogni discussione su quanto queste due notizie possano essere vere, verificate e comprovate, in un mondo come quello del giornalismo in cui gli esteri sono sempre una bella favola di eroi e di cattivoni raccontata da qualche inviato connivente da una o dall'altra parte, vorrei soffermarmi su un altro punto.
Prendiamo se volete per un attimo per buone assolutamente le notizie provenienti da Kiev.
Ci dicono che dovremmo essere indignati perché l'Ucraina viola i diritti umani, e che per questo dovremmo boicottarla.
La mia domanda è allora, quando iniziamo a boicottare l'Italia?
Per quanto io sia vagamente pazzo, questo collegamento non è sorto oggi per caso, non è totalmente campato in aria.
L'Italia dovremmo boicottarla davvero, per convincersene basta aprire oggi "Il Manifesto" (tristemente a rischio chiusura) e leggere, nelle notizie nazionali:
http://www.ilmanifesto.it/attualita/notizie/mricN/7407/
"Una ragazza di 32 anni, ucraina, si è suicidata il 16 aprile in un commissariato. Le indagini hanno scoperto che l'ufficio del dirigente era un altare al duce. Ore è indagato. Alle 17 manifestazione.
Sta assumendo aspetti più che inquietanti, anzi decisamente preoccupanti, la vicenda della morte di una giovane ucraina, Alina Bonar Diachuk. Alina, 32 anni, si è suicidata infilando il collo dentro un cappio che aveva appeso al termosifone della cella in cui era stata rinchiusa due giorni prima, nel commissariato di villa Opicina, a Trieste.
All'inizio la storia sembrava doversi risolvere in un triste caso di suicidio. Ma presto - anche grazie all'impegno dei giornali locali e dei mediattivisti - hanno cominciato ad emergere particolari poco chiari. Il primo: Alina non doveva essere lì. La ragazza, accusata di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, era stata scarcerata il 14 aprile dopo aver patteggiato. Che ci faceva allora, due giorni dopo, in una cella del commissariato? E che cosa era accaduto in quelle 48 ore? La ragazza dopo la sentenza era stata prelevata da una pattuglia della polizia, guidata da Carlo Baffi, capo dell'ufficio immigrazione e vicequestore. Secondo quanto ricostruito finora avrebbe dovuto essere trasferita nel Cie di Bologna. Fatto sta che dopo 48 ore era ancora a villa Opicina. Sulla stanza in cui era rinchiusa "vegliava" fissa una telecamera di sorveglianza. A quanto pare la ragazza dopo essersi stretta il cappio al collo, formato con il cordoncino della sua felpa, ha avuto un'agonia di 40 minuti: più di mezz'ora in cui nessuno ha dato uno sguardo alla telecamera. Cosa piuttosto grave, visto che la ragazza aveva già tentato il suicidio in carcere.
Da lì sono partite le indagini, condotte dal pubblico ministero Massimo De Bortoli con l'ausilio della polizia. Ed è stato subito chiaro che in quel Commissariato c'era qualcosa che non andava. Tanto che ora Baffi è indagato per omicidio colposo e sequestro di persona.
Le perquisizioni nell'ufficio di Baffi hanno portato alla luce una realtà spaventosa: non solo altri fascicoli riguardanti immigrati che si sono sospetta erano stati detenuti nel tempo dentro al commissariato senza alcuna copertura giudiziaria. Ma un cartello con su scritto "ufficio epurazione" - invece di ufficio immigrazione - con sopra la foto di Mussolini.
Insomma, l'ufficio della questura era un vero "altarino" alla ideologia fascista. E di lì dovevano passare gli immigrati. Chissà se Alina sapeva dove era finita.
Lo stesso materiale è stato trovato anche a casa di Baffi. Incredibilmente, di fronte a questi dati di fatto che certo non rendono onore al dirigente di una questura, l'Associazione nazionale funzionari di polizia ha espresso "solidarietà" a Baffi. E ha invitato la stampa a non associarlo all'estrema destra, visto che a casa sua è stato trovato anche materiale di "estrema sinistra". Probabilmente l'Associazione si riferisce al fatto che oltre a vari testi antisemiti (come i "classici" "Mein Kampf" e "La Difesa della razza") è stato trovato anche il libro di Karl Marx "La questione ebraica". Insomma, materiale di estrema sinistra...
Il procuratore capo della Procura di Trieste Michele Dalla Costa ha detto di voler andare fino in fondo, anche sulla questione degli stranieri detenuti illegalmente - senza un provvedimento amministrativo o penale - nelle stanze del commissariato. A quanto pare "sarebbero decine i casi riscontrati nello scorso mese di aprile", ha detto al quotidiano Il Piccolo di Trieste Dalla Costa.
La vicenda si inserisce in un clima più generale, che ha già messo in allarme la comunità ebraica della città. Come il fatto che solo pochi giorni fa Paolo Polidori, consigliere regionale della Lega, durante il congresso del Carroccio aveva pronunciato un intervento smaccatamente antisemita: "La crisi - ha detto - è determinata dal potere finanziario mondiale, che è in mano a un sistema giudaico-massone".
"Sono allibito e furibondo allo stesso tempo - commenta Roberto Antonaz, consigliere regionale di Rifondazione - perché i diritti delle persone vengono violati dagli alti dirigenti: Baffi è vicequestore. Il numero due della questura. Serve un'inchiesta che porti al totale rinnovamento della questura triestina. Perché dubito che l'orientamento del vicequestore non fosse noto a chi lavorava con lui". Il gruppo di Rifondazione ha presentato un'interrogazione in regione sulla vicenda.
Stasera alle 17 è stata organizzata una manifestazione in piazza della Borsa, promossa da Occupy Trieste, Arci, Casa delle Culture e Unione degli studenti a cui hanno adertio anche Rifondazione e Sel."
Gli ucraini sono più in pericolo in Ucraina o in Italia?
Non dovremmo forse iniziare da noi stessi, il boicottaggio, visto gli enormi campioni di democrazia e diritti civili che siamo?
Andiamo a togliere la cara e vecchia paglia nell'occhio altrui, e non ci occupiamo della cara e vecchia trave che ci perfora il cranio.
Prima di armarvi e partire per salvare l'Ucraina (magari con qualche bel bombardamento a tappeto, come solo noi sappiamo fare), cari tondi figuri democratici, sempre pacifici, sempre precisi, mai troppo adirati, perché non pensate anche a salvare un po' l'Italia?
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