giovedì 3 maggio 2012

Complemento oggetto


Uno dei peggiori errori della mia vita credo sia stato per anni una spietata forma di solipsismo.
Un comportamento comune.
Ogni giorno ci alziamo pensando che sarà dei nostri desideri, relegando il resto a un secondario sfondo.
I nostri desideri nel rapporto con gli altri non differiscono. Se possibile, difettano ancora di più.
Ho cercato di cogliere il fastidio e la vergogna, dopo qualche tempo di insofferenza da parte di qualche persona che mi stava così a cuore da sforzarmi ad uscire fuori dalla gabbia confortevole di me stesso.
Ma come spesso accade ai miei miseri sforzi non è corrisposto neanche un decimo del successo che può avere una illuminazione solitaria.
Neanche tutte le mie sagge letture (a cui pur mi riferirò, avendo già loro consolidato i mezzi di un certo genere di discorso) hanno potuto supportarmi quanto l'insopportabile esperienza d'essere trasformati in oggetti.
L'occhio piatto e languido di qualcuno che vi sta valutando come agglomerato di carne sprovvisto di volontà o di sentimenti, che si muove e parla per una complessa costruzione meccanica mossa dalla fantasia dello scrutatore stesso.
Una bambola vivente.
Una bambola di cui si può disporre come meglio si vuole, tralasciando il fatto che tutto urli di smettere, dalle spalle irrigidite alla voce alterata, dagli occhi in fiamme alle parole ingiuriose.
La sensazione che ancora mi fa fremere piccato, a metà tra un'offesa personale e la consapevolezza di quante abiure dovrei fare di me.

Quante volte sono stato io il violentatore, mi viene da pensare.
Fino ad ignorare il pianto sommesso di chi sommergevo, d'attenzioni grossolane e d'azioni goffe.
Ma prepotenti. Prepotenti quanto può essere un ricercato senso di autoesaltazione.
Della propria bontà, giustezza, liberalità, sensibilità.
Nomi altisonanti e piacevoli dietro cui si nasconde l'assassino dell'altro.

Ora ho questo fastidio, fastidio che mi divora dentro.
Lo stesso che deve provare un soprammobile ad essere preso e spostato di qua e di là a piacere.
Questo fastidio che ti deriva dal vedere il tuo corpo vivo improvvisamente compresso entro i confini di un oggetto inanimato.
La mia rabbia esplode per reazione da contrasto, il mio sdegno, la mia vergogna.
Esplodono per dire che sono vivi.
I miei diversi desideri si mettono a bruciare come ferite aperte, per dire che anche io, anche io ho il potere di distruzione e schiacciamento, e sono un pari da rispettare, non una marionetta.
Anche io il potere.

Poi mi distrugge l'idea di averlo usato, ora che le sue radiazioni mi colpiscono provocandomi la nausea.
Un cortese assassino. Di quelli di classe, completo pantaloni e giacca più guanti.
A pugnalare per il mio divertimento ogni sensibilità altrui.

E poi non l'avete fatto un po' tutti?
Che cosa orribile, specie con le migliori intenzioni in gioco.
Andare da qualcuno e piantargli sul cranio la bandiera delle proprie idee.
Martellarne il viso finché non assomigli all'idea che avevamo della sua faccia.
Romperne le ossa con la lingua aguzza per farne il pupazzo malleabile che i nostri ordini posizioneranno.
Tentare di "conquistarlo".

Non vi sentite un po' mostruosi?
In bocca ho un sapore aspro come il limone.
O come il sudore, vecchio, stantio.
O come il ferro del sangue tra i denti.
E non c'è modo di sciaquarlo via, oggi.

Sono un mondo in implosione.

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