"Quando con i primi peli le idee impazzano
Quando con i primi peli le idee impazzano
Cantava un guitto e lo cantava bene
Cantava un guitto e lo cantava bene:
-Pietà è morta, è morta la speranza-
Il sangue mio
Bolliva nelle vene il sangue mio
Bolliva nelle vene
Bene faceva il sangue mio a bollire
Bolli che ti ribolli rischia di finire
Ne uscì un fanciullo uomo allucinato secco
ed era stato un bimbo dolce, caro,ma non era ancorato e volò via
ma non era ancorato e volò viama non era ancorato e volò via
Costretto a un vai e vieni in alto e in bassoPer caso in vuoti e pieni magro e grasso
Mi muovo e ne convengo
Un elastico ardenteMi ammalia credo
Una necessità perdente
Pallido figlio del cielo sostengo bianche lune
Acceso sotto il sole ardo d'amore rosso
a volte merito pietà e l'aspetto
a volte merito pietà e arriva con gli amici suoi ma
solo se m'assale pressoché sensuale è pietà
solo se m'assale pressoché sensuale è pietà
È calorosa al tatto, ha l'occhio della mucca,
il fiato dell'amante, regalità regnante,
il cuore sulla bocca, morbidezza da gatto."
Qualcuno un giorno mi scrisse:
"Siamo dei grandi riformatori, siamo conservatori, tutti i rivoluzionari di questa epoca lo sono."
Non lo scrisse proprio a me. Era un epoca in cui quella persona aveva ancora fiducia nella sua funzione filosofica.
Lo scrisse pubblicamente, e mi chiamò in causa per illustrarmi la sua tesi, e perché io potessi avvalorarla.
All'epoca ero già pronto a raccogliere quelle parole, ma oggi, che mi muovo tra rinascenze e riprese, tutto quel discorso mi sembra più chiaro e lucido di molti altri che ho sentito fare durante la mia vita (che ancora è breve, che breve non è mai).
"Mi ricordo di discorsi belli tondi e ragionevoli, mi ricordo di discorsi"
Mi ricordo di tutti i discorsi che ho sentito in questi anni.
Ero nelle piazze e nelle strade. Ero negli atenei. Ero tra gli organizzatori e tra gli agitatori.
Sono stato preso, per un po', da quella mania di grandezza.
Questo era prima che quella persona pronunciasse (questa è una figura) il suo discorso.
All'epoca non ci conoscevamo bene, seppure avessi sempre ammirato il fuoco dei suoi capelli, e del suo cuore. Un fuoco dalle vene nere.
Mi ritrovo oggi a pensare a tutti i discorsi che ho sentito pronunciati da dei bei rivoluzionari dal capello fluente, dal fisico perfetto, dall'occhio trasognato, dalla voce affannata e italianisticamente maccheronico-substandard (mi sono sempre chiesto se ci sia una particolare selezione per i portavoce degli studenti, per mandare avanti quelli più sfiatati e dipietristi).
O ricordo i fini dicitori di qualche movimento rebelde, appena più anziani, o terribilmente più anziani, parlare dell'importanza della democrazia diretta in discorsi di due ore dove non permettevano a nessuno dei presenti di parlare. Ma sempre belli, che avevano gli occhi belli, sempre coi loro capelli fluenti, e un'azienda agricola biologica da portare avanti.
O i futuribili del No qualcosa day, che parlavano delle bugie dei partiti e dell'importanza della società civile, proponendoci comici e saltimbanchi per sostituire altri comici e saltimbanchi, ma quelli più grigi, questi almeno capaci di fare battute.
Discorsi. Parole. Azioni, anche, a volte. Spesso casuali come lanciare una pietra in aria nella folla, uccidendo qualcuno. A volte orchestrate, come lanciare una pietra nella folla, con l'intento di uccidere qualcuno, che viene tenuto fermo.
Non ricordo un gesto che non fosse iconoclasta, che non fosse lanciare qualcosa a caso o a ragione.
E in un tempo in cui non ci sono più icone sacre da distruggere, ho all'improvviso avuto il sapore sulla lingua di quanto tutto questo fosse terribilmente vecchio, e stanco.
Di più.
Di quanto tutto questo fosse un inganno sistemico, tracciato sulla linea del nostro profilo come previsto, anche economicamente.
C'era del senso nelle parole di A. , più di quanto ne abbia sentito in ventidue anni tra i begli uomini di belle speranze.
"Tutti i rivoluzionari di quest'epoca sono per forza di cose dei conservatori, dei restauratori, dei riformatori. Perché non c'è cosa più rivoluzionaria oggi che ricordare, recuperare, dilatare, avere un'ascendenza ed esserne consci. Io vivrò la mia vita qui, dove sono nata, e vivrò per la mia terra, per curare tutte le sue ferite."
Forse non aveva detto tutto questo. Forse sto aggiungendo dei pezzi. Dei tratti.
Ma nella mia mente tutto si lega a formare queste parole.
È colpa del ricordo di un corpo martoriato sul lido di Ostia. È colpa dell'autore del titolo di questo brano.
Oggi te li mettono dappertutto. Fanno cultura, gli occhiali di uno, o l'ex-comunismo di un altro.
Che quasi non si possono citare senza incorrere in possenti censori che ti tacceranno di ridicolo appena nominerai l'uno o l'altro. Quindi restino così. Allusioni, come sono nella mia mente.
La speranza che anche loro formino, in qualche modo, il mio passato. E quello di colei che pronunciò il discorso.
Passato.
Termine che tutti oggi guardiamo con selvaggio rancore.
Un mio compagno del liceo irrideva la nostra modenese professoressa di Storia dell'Arte quando proponeva dei viaggi nei siti archeologici italiani: "Professoré, ma quelle pemme so quattro pietre."
Il pensiero dominante non è molto lontano da questa affermazione.
Ed i rivoluzionari che si arrogano oggi tale titolo, non sono molto lontani dal pensiero dominante.
Ma di cosa parla allora il pensiero dominante, di Presente?
Sarebbe impossibile. Il Presente da che mondo è mondo fa più paura di qualsiasi altro tempo e modo.
Per parlare di Presente bisognerebbe accettare prima di una esistenza a termine, di un tempo, di un ciclo biologico. E sono adorabili tra l'altro coloro che fingono di fare questo passo, imbronciati e incazzati con tutto e con tutti, esistenzialisti da bar, nichilisti dell'ultima ora, memorabili più per la qualità dei loro anfibi che per quella dei loro discorsi (il loro preferito è pur sempre un vendibile autore francese alla moda, strabico, di cui anche in questo caso non citeremo il nome. L'uomo meno letto di tutta la letteratura francese, seppur tutti l'hanno sulla bocca).
La sparizione della morte e del dolore dalle nostre vite quotidiane fa sì che il Presente sia un tempo volgare di cui parlare. Infatti il Presente non si considera neanche, prima di volerlo cambiare, va cambiato e basta, è di sicuro tutto sbagliato, e quello che verrà dopo sarà ancora meglio.
Già il ritorno dei futuristi istrionici o politici che siano, ci doveva far capire che il nostro tempo adora il Futuro.
Un Futuro addomesticato, fatto di miglioramenti e correzioni, di riforme (ma senza riformare nulla, è preferibile sformare), di passaggi e passaggi che quieti portino alla perfezione, alla bellezza, all'uomo indiato, poi superuomo, poi Dio. Preciso e semplice como il discorso del Capitano Reinhard in "Processo a Dio".
Ma quello che all'epoca dei nazisti era un movimento di massa, ora non ha fatto altro che perdersi nella massa dei movimenti. Migliaia di gruppi che attraversano il paese con la verità in tasca per il nuovo millennio, il vilipendio e la rabbia, la fascistizzazione e l'intruppamento del movimento, lo scherno per tutto quello che gli è intorno. I nuovi dominatori del mondo.
Ma chi? Quale di loro?
Ecco la trama più sottile dell'inganno che ci fa vivere contenti e abilmente governati da questo o da quell'altro impero multinazionale.
Questo profumo che ci vendono caro nell'aria, che un giorno tutti noi ammantati della nostra libertà schiacceremo sotto il tallone la testa dei nostri nemici, che ne pigeremo la carne e e le ossa per farne vino buono da bere nel giorno della nostra vittoria.
Un'abile menzogna, venduta a tutti quanti.
È importante che noi tutti ci crediamo i futuri dominatori del mondo, perché è questo crederci futuri ad impedirci sistematicamente di agire nel Presente del nostro mondo. Che sarà sempre proprietà, copyright, racconto imbottigliato, come la nostra rabbia.
Qualcuno non ci crederà d'essere una truppa, che spara come arma la sua profumata libertà.
Eppure in questi anni ha sparato molto. Iraq, Afghanistan, Libia. Per essere monotono, sperando che trapassi qualche cervello, questa litania.
Siamo stati lì, senza sapere nulla, a parlare di come fosse bello esportare la nostra libertà d'essere occidentale (ma forse farei meglio a dire Euroamericana).
I diritti noi li infiliamo in gola a chi non ce li ha richiesti con una buona dose di proiettili.
Convinti di averne in abbondanza nel nostro caravan-serraglio.
"I rivoluzionari di questo tempo dovranno per forza essere dei conservatori, dei riformatori, dei restauratori. Perché il bisogno che abbiamo oggi di queste cose è fortissimo, in un'epoca in cui tutto è votato alla distruzione."
Penso ad Ennio Flaiano, e lui lo citerò, perché tanto nessuno ne sa niente.
Penso al suo viaggiatore scontento, che in giro per l'Italia trova i suoi nuovi barbari, intenti a demolire chiese del '200 per fare nuove cattedrali in vetro-alluminio. Il vecchio puzza. Il vecchio è buio e umido. Il vecchio si chiude a morire da qualche parte. Il vecchio non appare. Il vecchio è.
Il vecchio non ha un app per niente. A volte, al massimo, ci si può passare la mano sopra, con parsimonia. Il nuovo barbaro è felice di demolire quel che non capisce. Ma questo lo leggerete meglio in Flaiano.
Io non sono che immerso nei ricordi, e nella mia voglia di scrivere, e di scrivere per qualcun altro.
Anche questo non è in fondo molto "old fashioned" ? Sicuramente sì, in una cultura visiva e immediata.
Ma non è forse anche questo che ci manca? Un rapporto con l'altro lento abbastanza da durare delle ore, ad essere arditi, dei giorni. Oramai non ci restano che i secondi tra una fuga e l'altra.
Deficit d'attenzione, siamo come bambini con problemi gravi. Lo siamo sempre stati. Ci siamo nati, alle porte del Nuovo Millennio (da dire con voce altisonante).
Avevo voglia di scrivere per mettere i miei pensieri ordinati sul banco, per cogliere un ricordo.
Il discorso che mi fece un giorno una donna scolpita come una statua, dai tratti demoniaci.
Un gargoyle di una chiesa francese, una zingara dagli occhi di brace.
Mi diceva che tutti i rivoluzionari di questo tempo saranno dei conservatori.
Con il loro sguardo che andrà indietro, e anche avanti. Ma con i piedi ben piantati sulla terra che li ha generati, nutrendola del loro sangue, se necessario.
Ma forse non mi ha detto tutto questo. Forse sono io che integro. Penso che lo pensi. Questo sì. Penso che sia questo il suo fuoco, che gli vedo ardere addosso.
Prima ancora mi ero domandato perché, perché mi sono rimesso diligente a scrivere, con il desiderio di farlo ogni giorno, come quello di spingere il mio fisico ogni giorno più lontano (ad allenarsi, non ad altro).
Perché. Tutti dovrebbero chiedersi, perché.
La risposta non sarà mai chiara, forse appena sufficiente.
Per cosa sto allenando la mia scrittura. Per un diligente senso del dovere, appena nato, piccolo, fragile.
Per raggiungere, dialogare, osservarci, prendere tempo, viverci.
Perché queste sono le cose che non voglio perdere, e già troppe ne ho lasciate andare senza fermarle.
Per il catalogo generale del mio o del nostro passato.
Per l'esortazione del nostro presente.
Per un futuro fabbricato su questi mattoni.
Per questa mia idiozia conquistata a fatica, fatta di errori e ricordi, del mio corpo e delle mie sinapsi, e di tutto quello che ho ancora da sbagliare.
Perché da grande volevo fare il rivoluzionario. Ma a queste cose ormai non credo più.
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