domenica 29 aprile 2012

I giorni in casa





-Perché non vieni giù da Wino's?  Stasera suonano dal vivo.-
La mia voce sembrava perdersi nel salone poco illuminato, come se il lento morire del sole avesse tolto forza anche alla compressione ed espansione delle onde sonore.
Entro sera il mondo sarebbe diventato muto.
Un po' mi ricordava gli appunti brevi di Lovecraft.
"Un uomo si sveglia e scopre di poter parlare con una dimensione aliena e non euclidea attraverso il suo orinale".
Genericamente, avevo studiato più di quanto fosse salutare, nella mia vita.
Per i primi cinque minuti immaginai che Jonas non avesse sentito la mia voce affievolita, non accendeva ancora la luce e si muoveva nella penombra densa con sicurezza, prendendo, spostando, accatastando cose innominabili di cui gli uomini mai seppero il nome, o li avrebbe fatti impazzire al solo nominarlo.
Immagino comunque fossero scorte di cibo in scatola e imperdibili comodità, come può essere la spatola da cucina al giorno d'oggi.
Ci mise un po' a rispondermi, impegnato com'era ad accatastare i suoi attrezzi e le sue vivande, trasportarli, congelati, nelle loro bare, in attesa che uno sprovveduto professore dell'università Miskatonica li risvegliasse, o del giorno in cui Jonas avesse desiderio di fagioli alla texana.
Cinque minuti più tardi la sua voce mi colse di sorpresa mentre riflettevo su qualche vecchio classico di Providence.

-Hai idea di quanto sia lontano Wino's?-

Non era una domanda retorica, voglio dire, non uno di quei brillanti interventi fatti da qualcuno cui pesa il culo il sabato sera.
A quel che ne sapevo, e ne sapevo poco, Jonas poteva benissimo non essere mai stato da Wino's, poteva anche darsi che non si fosse nemmeno accorto della sua installazione in città, due anni prima.
Jonas non usciva troppo la sera. Non che uscisse il giorno.

-Da qui, sarà un mezzo miglio-

Jonas mi guardò un attimo come se stesse pensando a cosa rispondermi, o forse era uno sguardo di rimprovero.
Due secondi più tardi si era rimesso a lavorare di buona lena, per finire di trasportare le sue casse felicemente verso la loro destinazione.
Mi ci volle un po' a formulare la mia protesta cortese, nell'aria sempre più crepuscolare.

-Merda Jonas, che vuoi che sia una serata fuori? Due, tre ore, poi puoi andartene anche a dormire. Sentire un po' di musica e vedere qualche donna, cazzo. Farti una birra. Non arriveranno mica i tedeschi a bombardare-

Mentre ancora mi chiedevo se non fosse troppo raffinato, mi stupì la presenza improvvisa di Jonas, sbucato dal buio violaceo.
Era abbastanza vicino perché potessi vedergli gli occhi infossati e il colorito grigiastro della pelle. Qualcosa disturbava il suo respiro.

-Mezzo miglio. Venti minuti a piedi. Cinque in macchina. Se non conti salire e scendere dalla macchina. Questo Paese è ancora una desolata accozzaglia di galeotti anche senza i tedeschi. A piedi saremmo dei bersagli facili. In macchina potrebbero dirottarci, specie su quella ridicola imitazione coreana che ti ritrovi sotto il culo.
Calcolo del rischio. Medio. Ma un rischio va affrontato in funzione di qualcosa. Birra, donne e musica. Promessa di saccheggio poco allettante. Il rischio non vale le possibilità. La birra fa perdere lucidità, le donne distraggono.-

Si fermò un attimo, guardando per terra una macchia secca.-

Probabilmente non mi piace chi suona stasera-


Il "ma se non sai neanche chi è il fottuto gruppo di stasera" mi morì verso la gola.
Mentre gli occhi di Jonas si muovevano come quelli di un ratto nel labirinto tra il buio telaio della finestra dietro di me e la stanza, capì che avevo pochi secondi per dire qualcosa di più decisivo.
Iniziai un po' come potevo:

-Sai Jonas, il mondo là fuori non è così pericoloso. Che diavolo vuoi che ti vengano ad attaccare? Che ne sanno di te, un po' tutti quanti? Il mio vecchio diceva che era sempre una questione di dare e prendere. Tu li fai vivere, quelli ti lasciano vivere.
Non si ammazzano mica per le strade tutto il giorno. Merda, fratello, che mondo sarebbe? Uno può anche abbassare la guardia, ogni tanto.-

Navigai per un attimo in acque buie solcate da un terrore antico e indicibile quando vidi la sagoma appena percettibile di Jonas gonfiarsi e soffiare.
Nella mia sviluppata immaginazione (avrei fatto meglio a soffriggerla nella televisione anche io? Hai visitato la tua biblioteca locale oggi? Fanculo, pubblicità progresso), la sua pelle si tese fino a scomparire in un piatto colore uniforme, e gli occhi aumentarono la loro massa oscura fino a trasformarsi in due pozzi neri.
Un teschio vestito con residuati militari comprati al mercato nero dell'esercito cominciò a sputarmi addosso delle parole, muovendosi forsennato nella stanza, gesticolando:

-Misericordia, Gulie, Misericordia! L'uomo che in fondo è buono!
Quanto ti hanno riempito la testa con questa merda?
Nessuno è la fuori per ucciderti, nessuno vuole il tuo scalpo!
Certo, una nazione di Padri Pellegrini pronti ad accoglierti nelle loro case odoranti di torta di mele.
Sai cosa facevano i Padri Pellegrini, Piccolo G ?
Scannavano gli indiani dopo avergli rubato il cibo, e poi accendevano i roghi per le streghe.
E tu saresti andato al college, piccola testa di cazzo? Cosa hai trovato, qualche bel professore dai capelli dorati che ti ha parlato delle meraviglie dell'amore?
Siamo tutti fratelli, in alto i cuori!
La verità è un'altra.
Sai che è vero, è vero che non ci sono gli uomini pronti a ucciderti lì fuori, no.
C'è tutto l'intero fottuto mondo, ci sono gli animali, le piante, il fuoco, gli uomini, gli scarti chimici, l'Uranio, il fottuto sole, i fottuti dei e anche la tua musica di merda e il tuo liquore scadente.
Il tuo vecchio era un bifolco illuso, come tutti quanti.
Si illudeva che niente venisse a strappargli la vita, e tremava come tutti sotto le lenzuola.
Era lì, a sperare che ogni faccia in mezzo alla strada non volesse piantargli un coltello.
Io non ci casco, io non ci sto.
Non mi farò trovare impreparato. Questa (indicò la capanna fatiscente, ormai ridotta a un incomprensibile sfondo sull'orlo della notte) è la mia fortezza, fuori, c'è un assedio. Ed io non faccio parte di un esercito indisciplinato che si farà fottere dal nemico solo per un boccale di idromele e qualche tetta. Io sono qui, pronto a resistere all'apocalisse, qui, chiuso nella mia dimora. Quello che non ho, non mi mancherà. Devo essere vigile.
Devo riposare più che posso, per le ore di veglia che dovrò fare durante la guerra.
Cosa mi importa delle fottute ore sprecate a scherzare in un locale di quart'ordine?
Meglio dormire. Dormire e riposare il cervello. Dormire, ecco, questa è una difesa suprema all'invasione balorda del tuo mondo merdoso. La mia fortezza interna.
Tu vai pure a fraternizzare con il nemico, grandissimo coglione.
Io non ho alcun bisogno di un mondo pronto a farmi fuori alla prima svolta.
Io ho costruito una fortezza e sono qui per difenderla, fino alla fine. Non mi avranno, piccolo coglione, né tu con la tua voce suadente, né loro con le loro armi.
Io ci sputo sul vostro mondo, testa di cazzo.-

Si fermò ansimando violento, che nell'ombra poteva sembrare anche un toro pronto a caricare.

-Allora perché mi chiami perché t'aiuti a fare scorte una volta al mese, Jonas?-
Gli chiesi, ma quasi per sbaglio, semi-paralizzato dalla scomodità di quel momento.

Il teschio in verde mimetico mi guardò carico d'odio, e poi indicò la porta con una lunga mano ossuta.

-Vai a fare in culo bastardo. Spero che ti aprano il collo da orecchio a orecchio, al tuo concerto del cazzo.-

Indietreggiai fino alla porta.
Poi senza dire una parola l'aprì, e mi rovesciai fuori dalla casa, sicuro che mai niente avrebbe potuto lavare via dai miei occhi quelle immagini e l'urlo che d'un tratto esplodeva nella mia testa, d'orrore puro.

Fuori la luna splendeva allegra e le stelle erano piccole fiamme nel cielo, l'aria era dolce e profumata, di torta di mele.










(e poi magari siamo tutti cervelli in un barattolo)

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