"
-Pensa un po' a tuo fratello
-Kraus è poesia
-È proprio forte stu Kraus
-Aiuta tuo fratello, lascia perde che non si chiama Kraus. Aiutalo, inseriscilo, non ti fossilizzà sui comportamenti di Kraus
-Cu Kraus si vola, si vola cu Kraus
-Un tuo simile non ha nemmeno un pezzo di pane per sfamarsi. Spezza il tuo pane e porta un pezzetto di pane a sto poverello
-Se non ci fosse fratello Kraus io e te il giorno che facevamo?
-Portate da bere al bisognoso. Non state sempre a parlà de Fratello Kraus, una esistenza passata a parlà di Kraus è riduttiva.
-È pure mudesto sto Kraus, è pure mudesto
-Del resto al di fuori di fratello Kraus i nostri argomenti stanno a zero.
-Se per ipotesi stu poveraccio di cognome si chiamava Kraus io son convinto che co sta fobia di Kraus, cu sta Krausfobia che tenete già l'avevate aiutato
-Capisce pure i meccanismi psiculogici stu Kraus
-È nu cervellone stu Kraus, ha studiato a Norimberga.
-Me dispiace ma non è possibile fare un sermone con gente che sta sempre a parlà de te mentre c'è un poveraccio che muore di freddo in mezzo alla strada-
-E pure oggi il nostro dovere l'abbiamo fatto, simo sentito parlà Kraus
-E pure oggi possiamo riporre l'anima in pace, l'opera di tolleranza è stata fatta, simo lasciato parlà Kraus
-Non è possibile costruire un domani con gente che sta sempre a parlà de te.
-Fratello Kraus, Sorella Luna
-Fratello Sole, Sorella Kraus
-Una vita passata a parlare degli altri è misera e vergognosa
-Mo ni vado io a cumprare stu pezzo di pane, dumani mattina mi ritruvate morto. Qua ognuno parla degli altri ma nessuno fa niente per nessuno. Stanno sempre a parlà de me, nun m'hanno mai portato niente.
-Pe pensà a Fratello Kraus ci siamo scordati di quel poveraccio che moriva di fame.
-Non possiamo circoscrivere la nostra esistenza a parlare degli altri e non accorgerci di quello che ci gira intorno. Sto poveraccio aveva bisogno solo di un pezzo di pane. È morto a causa del vostro autocompiacimento verso Fratello Kraus
-È forte a fare anche le messe funebri, stu Kraus.
-Come fai a non parlare di una persona così speciale come Kraus? Cusì raffinata cume Kraus!
-Io non sono morto, ho fatto finta. Ma ho voluto dimostrare che pure da morto, so stato, so e sarò sempre isolato dal fulcro della discussione...
-Fratello Kraus, Sorella Luna
-Sorella Kraus, Fratello Kraus
-N'esistenza a parlà degli altri, è parassitaria"
"Il giorno dopo i Turchi concentrarono gli attacchi verso la Porta d'Oro, nel settore più vulnerabile delle mura, il Mesoteichion, che fu presa d'assalto tre volte. Attorno all'una di notte fu inviata la prima schiera di Ottomani, composta dalla bassa fanteria. I difensori si difesero con accanimento e attorno alle quattro del mattino ricacciarono indietro le truppe nemiche arrecando loro ingenti perdite. Il sultano ordinò allora l'attacco dei reparti con maggiore abilità e muniti di equipaggiamento migliore, i quali riuscirono dopo aspri combattimenti ad aprire un varco nella linea di difesa bizantina; esso fu prontamente richiuso da Costantino, che accorse alla testa delle sue guardie scelte massacrando i nemici. Oramai, però, i difensori erano logorati dalle molte ore di combattimenti ininterrotti e Maometto scagliò al mattino l'attacco finale inviando le truppe d'elite in assoluto più temibili dell'Impero: i giannizzeri. Dopo aspri combattimenti Giustiniani fu ferito, e nonostante le esortazioni di Costantino a restare, si ritirò in città attraverso una porta del muro interno. Privi di guida, veneziani e genovesi prima indietreggiarono e poi fuggirono verso il porto. Sembra che Giustiniani sia riuscito a fuggire a Chio, dove morì due giorni dopo. La sua fuga suscitò sospetti di tradimento, non si sa quanto fondati. L'imperatore Costantino tentò di guidare un contrattacco, alla testa dei suoi uomini e degli spagnoli di don Francisco di Toledo, ma scomparve nella mischia: secondo la maggior parte delle fonti morì combattendo valorosamente uccidendo 800 turchi. Il suo cadavere non fu mai ritrovato. La chiesa Ortodossa lo considerò in seguito santo e martire.
In mattinata i bizantini furono definitivamente sconfitti e gli ottomani iniziarono con le razzie. Le mura di Costantinopoli erano piene di morti e di morenti, di quelli che avevano difeso le mura, non era quasi rimasto più nessuno vivo. I bizantini erano tornati nelle loro case, per difendere la famiglia dalle razzie. I veneziani erano andati al porto, e i genovesi si erano imbarcati verso l'ancora sicura colonia di Galata. Il Corno d'oro era quasi deserto, i marinai turchi stavano pensando a razziare, il comandante Girolamo Minotto prese il rimanente della marina, e cioè otto navi veneziane, sette genovesi, e sei bizantine, e portò i profughi in salvo, le navi erano stracolme di bizantini.
A mezzogiorno le strade di Costantinopoli erano ingombre di cadaveri, le case erano vuote, visto che gli ottomani stavano uccidendo e catturando donne e bambini, che le cronache cristiane diranno essere stati stuprati e poi impalati. Le medesime cronache affermano anche che le chiese furono distrutte, le icone tagliate, i libri bruciati. Il palazzo Imperiale bizantino,palazzo delle Blacherne era deserto, e l'icona più venerata dai bizantini, la Vergine Odigitria (condottiera), fu tagliata in quattro pezzi.
A Santa Sofia i preti stavano celebrando la messa mattutina; quando sentirono gli Ottomani arrivare, allora sbarrarono la grande porta di bronzo, ma gli ottomani la ruppero a colpi d'ascia, i preti furono uccisi mentre celebravano la messa, e sgozzati anche sopra l'altare. In chiesa vi era una grande massa di gente che, venuta a sapere che i Turchi stavano per arrivare si era raccolta in chiesa nella attesa, di un angelo che, secondo una tradizione, avrebbe cacciato i Turchi da Costantinopoli quando l'avrebbero espugnata. Ma una diceria popolana racconta che due preti presero i calici e le patere e si volatilizzarono, per riprendere la messa dal punto in cui l'avevano interrotta solo quando Costantinopoli fosse tornata in mano cristiana.
I saccheggi durarono solamente un giorno, visto che Mehmet II si accorse che se avesse lasciato la città in mano dei suoi uomini per i tre giorni che aveva promesso, Costantinopoli sarebbe stata rasa al suolo; quella sera stessa Santa Sofia divenne una moschea."
"...Bisanzio è un mito che non mi è consueto,
Bisanzio è un sogno che si fa incompleto, Bisanzio forse non è mai esistita
e ancora ignoro e un' altra notte è andata,
Lucifero è già sorto, e si alza un po' di vento,
c'è freddo sulla torre o è l' età mia malata,
confondo vita e morte e non so chi è passata...
mi copro col mantello il capo e più non sento,
e mi addormento, mi addormento, mi addormento..."
La primavera del 1453 fu piena di tumulti per l'Europa.
La notizia portata dai pochi esuli delle colonie veneziane e genovesi (I veneziani che duecento anni prima avevano guidato a Costantinopoli la IV crociata) della caduta della Seconda Roma colpì come un pugno letterati, prelati, nobili signori, mondani cittadini italiani.
La costernazione e il senso di colpa per la fine di una delle più antiche espressioni della cristianità, erede diretta dell'impero dei Romani, flagellò per una stagione intera coloro che appena una decina d'anni prima ancora giocavano a farsi pregare da un disperato Giovanni VIII Paleologo, disposto a vendere la sua autonomia religiosa pur di ricevere aiuto per il suo impero morente.
Ancora pochi giorni prima dell'inizio dell'assedio turco, il Papa Niccolò V prometteva truppe in cambio della totale sottomissione dell'Imperatore al suo magistero.
Qualche mercenario veneziano. Qualche mercenario genovese. Qualche capitano di ventura catalano.
Nessun altro arrivò tra le mura della morente Costantinopoli.
Solo poi, poi, un coro unanime di voci piangenti, del tramontare di cotanto astro.
Ma come ogni buona squallida faccenda di famiglia al dolore seguì subito quella che è la reazione perbene d'ogni vero europeo.
Già nel 1455 nessuno pensava più a Costantinopoli. Nessuno parlava più di Costantinopoli. Qualche papa Callisto a invocare una qualche crociata di liberazione, peraltro abilmente ignorato da tutto l'orbe.
"Ahi ahi ahi ahi ahi...
Ahi ahi ahi ahi ahi... Un mutante di cane lince gatto in potenza
D'umana discendenza ma più debole adatto
a mutamenti nuovi dai lividi colori in mare in atto...
Un mulo vecchio
Di carichi eccessivi, di percosse
Svezzato presto
Non indugia a dolcezze, rotto all'incanto
Avvezzo alla brutalità al disprezzo...
Ahi ahi ahi ahi ahi...
Ahi ahi ahi ahi ahi...
Tra fremiti di bestie camion gas clacson
Vociare di mercanti a contrattare macellai
Fidanzati per mano famigliole festanti
Di sguardi petulanti botte a chi non ubbidisce insulti
Residui di carovane in viaggio orde dirette ad inseguire il sole...
Occidente
Occidente
Alla guerra alla gloria alla storia...
Ahi ahi ahi ahi ahi...
Ahi ahi ahi ahi ahi...
Luogo da cui non giunge suono
Luogo perduto ormai...
Ahi ahi ahi ahi ahi...
Ahi ahi ahi ahi ahi... "
Deprivata di ogni velleità militaresca e neocrociata (in tempi di idioti Norvegesi che uccidendo membri della propria famiglia Reale e cittadini di Oslo credono di condurre una qualche anacronistica guerra contro un'Islam che neanche conoscono, è bene precisarlo.) la storia della caduta di Costantinopoli e della morte senza speranza del suo ultimo imperatore Costantino XI Paleologo Dragases rimane una di quelle storie su cui Valerio Massimo Manfredi potrebbe scrivere un orrendo libro. Orrendo per Valerio Massimo Manfredi, che è solito rovinare i passaggi storici più drammatici con le sue operette da quattro soldi.
Il nostro bel tomo potrebbe sfruttare questa storia perché come tutte le grandi storie racchiude nei suoi particolari messaggi, ricordi, urla, immagini che lungo la linea del tempo ci rincorrono fino al presente, nella teatrale essenza che ha la storia di ogni fine, di ogni caduta, crollo.
La caduta di Costantinopoli, fosse stata prima, fossimo stati noi meno pieni di vergogna, sarebbe potuta diventare una sorella delle Gerusalemme Liberate o degli Orlandi.
Un uomo disperato, destinato a chiudere per sempre la storia di una terra in cui era nato, carico di promesse. L'imperatore di uno degli imperi più antichi della terra, ora grande un fazzoletto di terra, misero e in rovina.
Un uomo costretto a mendicare l'attenzione di quelli che voleva considerare fratelli, che invocava in nome di una comune appartenenza, che a bella posta lo ignoravano o lo schernivano.
Un uomo morto sulle mura di una città che era ancora sua, per poche ore. Possa il suo sangue bagnare le pietre prima che tutto sia finito. Possa io morire da imperatore. Nei secoli dei secoli così sia. Riposa in pace, smembrato e dissanguato sulle tue antiche mura. Amen.
La caduta di Costantinopoli, fosse stata prima, fossimo stati noi meno pieni di vergogna, sarebbe potuta diventare una sorella delle Gerusalemme Liberate o degli Orlandi.
Un uomo disperato, destinato a chiudere per sempre la storia di una terra in cui era nato, carico di promesse. L'imperatore di uno degli imperi più antichi della terra, ora grande un fazzoletto di terra, misero e in rovina.
Un uomo costretto a mendicare l'attenzione di quelli che voleva considerare fratelli, che invocava in nome di una comune appartenenza, che a bella posta lo ignoravano o lo schernivano.
Un uomo morto sulle mura di una città che era ancora sua, per poche ore. Possa il suo sangue bagnare le pietre prima che tutto sia finito. Possa io morire da imperatore. Nei secoli dei secoli così sia. Riposa in pace, smembrato e dissanguato sulle tue antiche mura. Amen.
La storia della caduta di Costantinopoli, è un capitolo della storia del nostro sopraffino e calcolato egoismo.
Noi puri, noi duri, che da sempre ci battiamo il petto e ci scaldiamo per intonare canti alla nostra pia devozione ed ammirazione verso tutto ciò che è buono e giusto.
Sarà qualche linea di febbre, ma mentre chiudevo gli ultimi capitoli della mia Storia dell'Arte Bizantina, sulla faccia contrita e sofferente del Battista di cui sopra, pensavo a quanta abilità ed acrobazia ci fosse voluta per saccheggiare, mercanteggiare, promettere, ignorare, strapparsi le vesti dalla disperazione e alla fine dimenticare.
Pensavo a quanto questo possa essere considerata la struttura principale della nostra cultura politica.
Anche oggi, te la ritrovi dappertutto.
Guarda tutti quelli che ho affrontato o che ho sentito parlare da un comizio dell' "Importanza dell'arte e della cultura nella nostra penisola, che va difesa e salvaguardata insieme al paesaggio, e le iniziative artistiche dei giovani vanno finanziate".
Ma questo è troppo privato, personale.
Pensa a tutti quelli che hanno parlato dell' "Importanza di rilanciare il volano dell'economia". Il termine preso dal linguaggio di fabbrica fa tanto post-capitalismo.
Pensa a tutti quelli che: "Abbiate fede, i tempi stanno per cambiare"
Pensa a quelli che: "È una riforma dura, ma necessaria"
Pensa a quelli che: "I licenziamenti facili sono un modo per aumentare l'occupazione"
Pensa a quelli che: "Lo spread sale perché non mi fate fare le riforme necessarie"
Necessario.
Mi torna in mente il Concilio di Ferrara in cui il Papa ritenne necessario farsi baciare i piedi dal Patriarca Giovanni II, per andare avanti.
Necessario, urgente, improrogabile.
"Non se ne può fare a meno"
"Oggi niente, domani forse, dopodomani sicuramente" (Chi se la ricorda questa? cento punti).
Non siamo forse oggi dominati (dominati è la parola giusta) da questa altera mescolanza di bugiardi e imbonitori che si fanno portavoce di mille iniziative di promesse e progetti che non hanno alcuna intenzione di portare avanti.
Fa parte della nostra cultura questa libertà di sbattercene di qualsiasi cosa sia stato detto prima, nei secoli sempre più migliorata dal nostro totale abbandono di qualsivoglia senso del dovere. Fa parte della nostra cultura, dimenticare tutto quello che ci imbarazza di fronte alla società.
La caduta di Costantinopoli forse mi ricorda un'altra caduta imminente, con tutti che fanno finta di niente come allora. Parlano, imbrattano, pasteggiano, ridacchiano.
Qualcuno va per le strade a perdere tempo. I litigi continui tra il Fronte Palestino per la Libertà e il Fronte di Liberazione Palestinese e il Fronte Palestina libera (ma di questo abbiamo già parlato ieri io, i Monty Phyton da qualche anno).
E mentre noi siamo impegnati a preparare il nostro loculo, c'è un nostro fratello che muore.
Sono greci anche stavolta, e non li ascolteremo, nonostante i nostri capi si siano già fatti baciare i piedi.
Lasceremo che muoiano, e poi ci stupiremo che sono morti.
Poi ci stupiremo anche della nostra morte.
Poi di quella di tutti quanti.
Oh, che vicende buffe, alla fine di un impero.
Resta solo da sperare che ci rimanga abbastanza forza per l'inizio, che segue sempre la rovina.
Per un mondo ignoto di nuovi dilettanti (che è appena giusto che la fortuna li aiuti...)
O forse dimenticheremo ancora, per la nostra fama di uomini perbene e civili...
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