"Congratulations
You managed to kill that boss you see
The grinning colossus
You're the hero we all wish we could be
You made it through the tunnel
Then you grabbed that fire on the wall
You jumped up above him
Then you burned the rope and saved us all
You burned the rope and saved us"
Il bene è il male.
Sigalit Landau, artista Israeliano alla biennale di Venezia, ha dato al suo discorso sulla difficile convivenza della Palestina un titolo che mi ha fatto restare bloccato nelle sue installazioni per un po'.
"One man's floor is another man's feeling"
Il mestiere delle armi come ce lo raccontano i grandi blockbuster sembra una cosa divertente.
Attori depilati ed unti d'olio scendono tra la polvere a contendersi qualche bionda siliconata con gesti di danza. Lo scintillio delle armature appena fatte, bevute e battute memorabili a primo piano stretto.
Tutti vogliono essere l'eroe. L'eroe è il bene.
Il bene è il male.
Ci crediamo ancora agli eroi, come qualcuno crede ancora in Dio. Nel nostro, Dio, relativamente nostro, europeo, cristiano.
Quelle delle radici cattoliche dell'Euroblablabla.
Qualcuno crede in quel Dio di attesa per una redenzione impossibile, per una resurrezione in una vita ulteriore, terza o quarta.
Qualcuno crede ancora negli eroi, e li aspetta.
Dov'è Dio per chi lo aspetta? Dovunque voglia vederlo, sta a lui decidere quando.
Dove sono gli eroi, per chi li aspetta?
Un po' come in quegli altri film americani in cui uno sfigato viene messo in mezzo e salva una città dal cattivo riccone/messicano venditore di droga/mafioso italiano/criminale negro.
L'eroe è dovunque lo si voglia vedere.
Mi deprime vivere in un'epoca piena di eroi.
Apprendere a memoria le rubriche e le facce.
Ci sono prima di tutto gli eroi dell'antimafia.
Poi gli eroi del movimento LGBT.
Poi gli eroi del movimento ecologista.
Poi gli eroi degli studenti.
Poi gli eroi dell'antiglobalizzazione.
Poi gli eroi della lotta dei tagli alla cultura.
Poi gli eroi della lotta alla cassa integrazione, alla disoccupazione.
Poi gli eroi degli ultras.
Poi gli eroi della NATO.
Poi gli eroi delle rivoluzioni, specie i blogger, poi.
Poi gli eroi di Casa Pound.
Poi gli eroi della musica.
Poi gli eroi della televisione.
Poi gli eroi del cinema.
Poi gli eroi locali.
Una galleria di statue severe e di fedeli pronti a immolarsi con fede incrollabile.
Mi deprime camminare tra le gallerie che risuonano di inni. Non sono mai stato il tipo da cerimonia.
L'eroe è ovunque lo si voglia vedere, pronto a difendere con le sue armi e la sua vita il suo popolo adorante.
Lo guarda camminare, il popolo, e lo segue.
Lo sente aprire la bocca, e ripete a memoria quelle sante parole.
L'eroe è l'infallibile, in un mondo di errori.
L'eroe è il puro, in un mondo in cui "tanto il più pulito c'ha la rogna".
L'eroe è colui che ci guiderà verso un mondo migliore, fatto solo dagli Eletti, da coloro che l'eroe hanno seguito.
Perché l'eroe è un po' Messia di questi tempi.
E non si può essere eroe, senza essere Messia.
Una volta per fare l'eroe ti bastava picchiare i nemici sul cranio.
Rolando che sbriciola i Pirenei con l'Olifante, sudato e incrostato di sangue, si qualifica senza sforzo.
Tutto il resto in mano al buon vecchio Carlomagno (Re di Spagna, va nell'acqua e non si bagna, va nel fuoco e non si brucia).
Una volta per fare l'eroe, ti bastava essere l'assassino migliore.
Un matamoros come El Cid Campeador.
Cento, duecento o diecimila. Ammirevole e notevole la magia dei numeri sugli uomini.
Un eroe una volta era l'uccisore del male, il male una volta era qualcosa d'altro.
Che era tra noi, ma in incognito, maledetta quinta colonna.
Per tutto il resto era lì, oltre il mare.
Gli eroi andavano ad ucciderlo.
Il male era oltre il mare. Con le sue spie qui.
Il male era già il bene, ma questo rimase un mistero per lungo tempo, come la relatività generale e ristretta.
Nonostante tutto questo tempo, l'eroismo è in buona salute.
Vivo in un epoca piena di eroi.
Non che siano più raffinati di quei sacchi di carne ammantati di cicatrici e muscoli sgraziati che mietevano arti brandendo una spada.
Ma quelli di oggi, ecco, quelli sono anche dei profeti.
È inevitabile, ecco, la linea non c'è.
Allora devi essere un po' profeta.
La gente deve poter credere in qualcosa.
Deve poter aver fede.
Come in Dio.
L'eroe di oggi deve essere un po' Dio.
Lui è uscito a comprare le sigarette, e non è più tornato.
Io quando vedo gli eroi mi deprimo.
Tutti si eccitano fino a bagnarsi se al loro fianco compare la sacra icona di un qualche semidio minore.
Io devo essere ateo duro. O perlomeno, distante dalla nostra spiritualità ereditaria.
Che poi non è che sia automatico.
Gli eroi sono dove si vuole che siano.
Certe volte mi piacciono gli eroi, prima che lo diventino.
Quelli che neanche gli passa per la mente di diventare eroi.
Gente che fa solo qualcosa, perché ne aveva bisogno.
Che poi magari gli viene fuori qualcosa di grande.
E io li ammiro, che poi è una forma di invidia, ma così gentile.
Ti verrebbe anche voglia di parlargli.
Ma poi arrivano, i cacciatori di eroi.
E allora, lì ti allontani, cosa devi fare?
Quella turba urlante che si calpesta per raccogliere un pezzo di veste o un'oncia di sputo.
"L'eroe, l'eroe, è arrivato!"
Quel rumore fastidioso.
Ci sono gli eroi che non vogliono fare gli eroi.
Come i santi eremiti che andavano a nascondersi nel deserto.
E tutti giù a rompergli.
Guarisci mio figlio, guariscimi un piede, scaccia il demonio, scaccia la peste.
Che più miracoli gli fai, più quelli ne vogliono.
"E chi pensa all'anima mia?" dicono a un certo punto gli eremiti, come il prete nella storia sull'ultimo giorno della terra di Dino Buzzati, quando tutti gli chiedono confessione.
Che gli eremiti erano andati nel deserto a pregare e a digiunare e a farsi prendere a cinghiate dal demonio senza demordere.
E tutta sta gente che li insegue di qua e di là.
Eroe, sì eroe, ma c'ho altre cose da fare, avevo un progetto molto bello, lasciatemi fare!
Ci sono gli eroi che non vogliono fare gli eroi, ma la gente non li capisce.
Generalmente li mettono in croce.
L'eroe è proprio lì, dove tu lo vuoi vedere, un po' come il dittatore.
Il dittatore è un eroe. L'eroe di tutti coloro che hanno visto in lui l'eroe.
E o sei Coriolano o un monaco eremita che ti chiedono qualcosa magari gliela fai, ma poi non vuoi fare il dittatore, e ti ritiri in campagna.
"One man's floor is another man's feeling"
Il mestiere delle armi come ce lo raccontano i grandi blockbuster sembra una cosa divertente.
Attori depilati ed unti d'olio scendono tra la polvere a contendersi qualche bionda siliconata con gesti di danza. Lo scintillio delle armature appena fatte, bevute e battute memorabili a primo piano stretto.
Tutti vogliono essere l'eroe. L'eroe è il bene.
Il bene è il male.
Ci crediamo ancora agli eroi, come qualcuno crede ancora in Dio. Nel nostro, Dio, relativamente nostro, europeo, cristiano.
Quelle delle radici cattoliche dell'Euroblablabla.
Qualcuno crede in quel Dio di attesa per una redenzione impossibile, per una resurrezione in una vita ulteriore, terza o quarta.
Qualcuno crede ancora negli eroi, e li aspetta.
Dov'è Dio per chi lo aspetta? Dovunque voglia vederlo, sta a lui decidere quando.
Dove sono gli eroi, per chi li aspetta?
Un po' come in quegli altri film americani in cui uno sfigato viene messo in mezzo e salva una città dal cattivo riccone/messicano venditore di droga/mafioso italiano/criminale negro.
L'eroe è dovunque lo si voglia vedere.
Mi deprime vivere in un'epoca piena di eroi.
Apprendere a memoria le rubriche e le facce.
Ci sono prima di tutto gli eroi dell'antimafia.
Poi gli eroi del movimento LGBT.
Poi gli eroi del movimento ecologista.
Poi gli eroi degli studenti.
Poi gli eroi dell'antiglobalizzazione.
Poi gli eroi della lotta dei tagli alla cultura.
Poi gli eroi della lotta alla cassa integrazione, alla disoccupazione.
Poi gli eroi degli ultras.
Poi gli eroi della NATO.
Poi gli eroi delle rivoluzioni, specie i blogger, poi.
Poi gli eroi di Casa Pound.
Poi gli eroi della musica.
Poi gli eroi della televisione.
Poi gli eroi del cinema.
Poi gli eroi locali.
Una galleria di statue severe e di fedeli pronti a immolarsi con fede incrollabile.
Mi deprime camminare tra le gallerie che risuonano di inni. Non sono mai stato il tipo da cerimonia.
L'eroe è ovunque lo si voglia vedere, pronto a difendere con le sue armi e la sua vita il suo popolo adorante.
Lo guarda camminare, il popolo, e lo segue.
Lo sente aprire la bocca, e ripete a memoria quelle sante parole.
L'eroe è l'infallibile, in un mondo di errori.
L'eroe è il puro, in un mondo in cui "tanto il più pulito c'ha la rogna".
L'eroe è colui che ci guiderà verso un mondo migliore, fatto solo dagli Eletti, da coloro che l'eroe hanno seguito.
Perché l'eroe è un po' Messia di questi tempi.
E non si può essere eroe, senza essere Messia.
Una volta per fare l'eroe ti bastava picchiare i nemici sul cranio.
Rolando che sbriciola i Pirenei con l'Olifante, sudato e incrostato di sangue, si qualifica senza sforzo.
Tutto il resto in mano al buon vecchio Carlomagno (Re di Spagna, va nell'acqua e non si bagna, va nel fuoco e non si brucia).
Una volta per fare l'eroe, ti bastava essere l'assassino migliore.
Un matamoros come El Cid Campeador.
Cento, duecento o diecimila. Ammirevole e notevole la magia dei numeri sugli uomini.
Un eroe una volta era l'uccisore del male, il male una volta era qualcosa d'altro.
Che era tra noi, ma in incognito, maledetta quinta colonna.
Per tutto il resto era lì, oltre il mare.
Gli eroi andavano ad ucciderlo.
Il male era oltre il mare. Con le sue spie qui.
Il male era già il bene, ma questo rimase un mistero per lungo tempo, come la relatività generale e ristretta.
Nonostante tutto questo tempo, l'eroismo è in buona salute.
Vivo in un epoca piena di eroi.
Non che siano più raffinati di quei sacchi di carne ammantati di cicatrici e muscoli sgraziati che mietevano arti brandendo una spada.
Ma quelli di oggi, ecco, quelli sono anche dei profeti.
È inevitabile, ecco, la linea non c'è.
Allora devi essere un po' profeta.
La gente deve poter credere in qualcosa.
Deve poter aver fede.
Come in Dio.
L'eroe di oggi deve essere un po' Dio.
Lui è uscito a comprare le sigarette, e non è più tornato.
Io quando vedo gli eroi mi deprimo.
Tutti si eccitano fino a bagnarsi se al loro fianco compare la sacra icona di un qualche semidio minore.
Io devo essere ateo duro. O perlomeno, distante dalla nostra spiritualità ereditaria.
Che poi non è che sia automatico.
Gli eroi sono dove si vuole che siano.
Certe volte mi piacciono gli eroi, prima che lo diventino.
Quelli che neanche gli passa per la mente di diventare eroi.
Gente che fa solo qualcosa, perché ne aveva bisogno.
Che poi magari gli viene fuori qualcosa di grande.
E io li ammiro, che poi è una forma di invidia, ma così gentile.
Ti verrebbe anche voglia di parlargli.
Ma poi arrivano, i cacciatori di eroi.
E allora, lì ti allontani, cosa devi fare?
Quella turba urlante che si calpesta per raccogliere un pezzo di veste o un'oncia di sputo.
"L'eroe, l'eroe, è arrivato!"
Quel rumore fastidioso.
Ci sono gli eroi che non vogliono fare gli eroi.
Come i santi eremiti che andavano a nascondersi nel deserto.
E tutti giù a rompergli.
Guarisci mio figlio, guariscimi un piede, scaccia il demonio, scaccia la peste.
Che più miracoli gli fai, più quelli ne vogliono.
"E chi pensa all'anima mia?" dicono a un certo punto gli eremiti, come il prete nella storia sull'ultimo giorno della terra di Dino Buzzati, quando tutti gli chiedono confessione.
Che gli eremiti erano andati nel deserto a pregare e a digiunare e a farsi prendere a cinghiate dal demonio senza demordere.
E tutta sta gente che li insegue di qua e di là.
Eroe, sì eroe, ma c'ho altre cose da fare, avevo un progetto molto bello, lasciatemi fare!
Ci sono gli eroi che non vogliono fare gli eroi, ma la gente non li capisce.
Generalmente li mettono in croce.
L'eroe è proprio lì, dove tu lo vuoi vedere, un po' come il dittatore.
Il dittatore è un eroe. L'eroe di tutti coloro che hanno visto in lui l'eroe.
E o sei Coriolano o un monaco eremita che ti chiedono qualcosa magari gliela fai, ma poi non vuoi fare il dittatore, e ti ritiri in campagna.
Oppure capita che alla fine l'eroe lo volevi fare, magari da prima che vedessero in te l'eroe, magari dopo, e allora ti diverti ad essere l'eroe, e l'eroe chiede, e l'eroe comanda, perché l'eroe poi ha ragione, è lui il bene.
Un po' come Beppe Grillo o Benito Mussolini.
Grandi eroi, e sono sicuro, grandissimi dittatori.
Mi deprimo un po' quando guardo il mondo e lo vedo pieno di dittatori.
Dittatori della patria.
Dittatori dei ribelli.
Dittatori dell'arte.
Dittatori della finanza.
Dittatori dell'industria.
Ricordo quello studio sventolato da un qualche focus estate che diceva che il guerriero, l'eroe moderno, è il manager d'azienda.
Alquanto deprimente, lo ammetteranno tutti.
Mi deprime il nostro bisogno di eroi, nella nostra totale mancanza di idee.
Qualche falso profeta viene e noi siamo pronti a seguirlo per la sua bella voce ed i suoi motti di spirito. Niente sappiamo, a tutto obbediamo. Finché non sorga un eroe più possente.
Una fede incrollabile basata sulla nostra perenne paura di trovarci dalla parte del peccato.
Vogliamo i giusti, nella vita. Vogliamo essere i migliori.
Un controllo di qualità, e un marchio sulle nostre vite.
Tutta una questione di fede.
Siamo noi a crearci le catene che poi ci metteremo per seguire qualcuno, così spesso un truffatore, a cui chiediamo di liberarci dal male.
Ci sono gli eroi che sono morti perché credevano in qualcosa, qualcosa che forse era anche giusto. Ma poi sono morti, lasciando la loro memoria bella e pronta da violentare.
Mi deprime il nostro bisogno di eroi.
Gli idoli che adoriamo.
I megafoni.
Mi deprimono i megafoni.
Così metallici e impersonali. Come l'ordine di una entità superiore.
Così volete essere degli eroi?
Tutti vogliono essere gli eroi, al giorno d'oggi.
Per questo sono lì, prostrati, ad adorarli.
Perché il loro corpo, è tutto teso all'eroe.
Perché si possano annullare, nell'eroe.
E pensare che dovevamo cambiare il mondo, con il nostro lucido pensiero.
Ma la linea non c'è.
Questa è un epoca di eroi, di Draghi e di Monti incantati.
(tanto per mettere qualcosa che tutti possano fraintendere)
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