lunedì 30 aprile 2012

Beppe Grillo e il fascino indiscreto del Padrino











"Noi abbiamo candidato Toto’ u curtu e u Malpassotu come vicesindaco, vediamo come va – aveva detto il comico genovese prima di salire sul palco – . La mafia non ha mai strangolato il proprio cliente, la mafia prende il pizzo, il 10 per cento. Qui siamo nella mafia che ha preso un’altra dimensione, strangola la propria vittima.” Una battuta al vetriolo per criticare la politica e il governo..."

(citazione Beppe Grillo, da Il Fatto Quotidiano)




"Alle 9:20 del 30 aprile 1982, con una Fiat 131 guidata da Rosario Di Salvo, Pio La Torre stava raggiungendo la sede del partito. Quando la macchina si trovò in una strada stretta, una moto di grossa cilindrata obbligò Di Salvo, che guidava, ad uno stop, immediatamente seguito da raffiche di proiettili. Da un'auto scesero altri killer a completare il duplice omicidio. Pio La Torre morì all'istante mentre Di Salvo ebbe il tempo per estrarre una pistola e sparare alcuni colpi, prima di soccombere.


Poco dopo l'omicidio fu rivendicato dai Gruppi proletari organizzati. Dopo nove anni di indagini, nel 1991, i giudici del tribunale di Palermo chiusero l'istruttoria rinviando a giudizio nove boss mafiosi aderenti alla Cupola mafiosa di Cosa Nostra. Per quanto riguarda il movente si fecero varie ipotesi, ma nessuna di queste ottenne riscontri effettivi. Nel 1992, un mafioso pentito, Leonardo Messina, rivelò che Pio La Torre fu ucciso su ordine di Totò Riina, capo dei corleonesi, a causa della sua proposta di legge riguardante i patrimoni dei mafiosi.

Alcuni hanno sostenuto l'ipotesi che quello di Pio La La Torre sia un omicidio di natura politica. Dalle carte dei servizi segreti risulta che La Torre viene pedinato fino a una settimana prima della morte. Il movente, in questa chiave di lettura, è da ricercare nelle intuizioni dell'onorevole: parlando in Parlamento associa l’omicidio di Piersanti Mattarella con il caso Sindona e con la riscoperta di una vocazione americana della mafia siciliana. È La Torre a conoscere i risvolti più segreti dell’attività del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa; a comprendere il peso della P2; a intuire la posta in gioco con l’installazione della base missilistica Usa a Comiso; a intravedere, con nove anni di anticipo, il peso di strutture come Gladio."


(Racconto delle dinamiche dell'omicidio di Pio La Torre, Onorevole del Partito Comunista Italiano, Sindacalista, ucciso dopo anni di impegno contro Cosa Nostra, i gruppi di potere neofascisti e gli accordi occulti tra i governi DC e la NATO)



E poi, Beppe Grillo ci sparerà il suo blablabla sul fatto che dice queste cose per colpirci e farci reagire contro il governo Monti.
Non ha ancora capito che noi siamo già oltre.
Stiamo preparando la reazione contro di lui.
Miserrimo buffone.

(Cosa ti fa credere che desideriamo passare da l'oligarchia degli Illuminati ad un altro ridicolo Cesare di seconda mano?
Non in mio nome, non il fascismo delle tue parole, non il fascismo delle banche centrali.
Siete solo due squallide figure della stessa caduta.
Non in mio nome.)

domenica 29 aprile 2012

I giorni in casa





-Perché non vieni giù da Wino's?  Stasera suonano dal vivo.-
La mia voce sembrava perdersi nel salone poco illuminato, come se il lento morire del sole avesse tolto forza anche alla compressione ed espansione delle onde sonore.
Entro sera il mondo sarebbe diventato muto.
Un po' mi ricordava gli appunti brevi di Lovecraft.
"Un uomo si sveglia e scopre di poter parlare con una dimensione aliena e non euclidea attraverso il suo orinale".
Genericamente, avevo studiato più di quanto fosse salutare, nella mia vita.
Per i primi cinque minuti immaginai che Jonas non avesse sentito la mia voce affievolita, non accendeva ancora la luce e si muoveva nella penombra densa con sicurezza, prendendo, spostando, accatastando cose innominabili di cui gli uomini mai seppero il nome, o li avrebbe fatti impazzire al solo nominarlo.
Immagino comunque fossero scorte di cibo in scatola e imperdibili comodità, come può essere la spatola da cucina al giorno d'oggi.
Ci mise un po' a rispondermi, impegnato com'era ad accatastare i suoi attrezzi e le sue vivande, trasportarli, congelati, nelle loro bare, in attesa che uno sprovveduto professore dell'università Miskatonica li risvegliasse, o del giorno in cui Jonas avesse desiderio di fagioli alla texana.
Cinque minuti più tardi la sua voce mi colse di sorpresa mentre riflettevo su qualche vecchio classico di Providence.

-Hai idea di quanto sia lontano Wino's?-

Non era una domanda retorica, voglio dire, non uno di quei brillanti interventi fatti da qualcuno cui pesa il culo il sabato sera.
A quel che ne sapevo, e ne sapevo poco, Jonas poteva benissimo non essere mai stato da Wino's, poteva anche darsi che non si fosse nemmeno accorto della sua installazione in città, due anni prima.
Jonas non usciva troppo la sera. Non che uscisse il giorno.

-Da qui, sarà un mezzo miglio-

Jonas mi guardò un attimo come se stesse pensando a cosa rispondermi, o forse era uno sguardo di rimprovero.
Due secondi più tardi si era rimesso a lavorare di buona lena, per finire di trasportare le sue casse felicemente verso la loro destinazione.
Mi ci volle un po' a formulare la mia protesta cortese, nell'aria sempre più crepuscolare.

-Merda Jonas, che vuoi che sia una serata fuori? Due, tre ore, poi puoi andartene anche a dormire. Sentire un po' di musica e vedere qualche donna, cazzo. Farti una birra. Non arriveranno mica i tedeschi a bombardare-

Mentre ancora mi chiedevo se non fosse troppo raffinato, mi stupì la presenza improvvisa di Jonas, sbucato dal buio violaceo.
Era abbastanza vicino perché potessi vedergli gli occhi infossati e il colorito grigiastro della pelle. Qualcosa disturbava il suo respiro.

-Mezzo miglio. Venti minuti a piedi. Cinque in macchina. Se non conti salire e scendere dalla macchina. Questo Paese è ancora una desolata accozzaglia di galeotti anche senza i tedeschi. A piedi saremmo dei bersagli facili. In macchina potrebbero dirottarci, specie su quella ridicola imitazione coreana che ti ritrovi sotto il culo.
Calcolo del rischio. Medio. Ma un rischio va affrontato in funzione di qualcosa. Birra, donne e musica. Promessa di saccheggio poco allettante. Il rischio non vale le possibilità. La birra fa perdere lucidità, le donne distraggono.-

Si fermò un attimo, guardando per terra una macchia secca.-

Probabilmente non mi piace chi suona stasera-


Il "ma se non sai neanche chi è il fottuto gruppo di stasera" mi morì verso la gola.
Mentre gli occhi di Jonas si muovevano come quelli di un ratto nel labirinto tra il buio telaio della finestra dietro di me e la stanza, capì che avevo pochi secondi per dire qualcosa di più decisivo.
Iniziai un po' come potevo:

-Sai Jonas, il mondo là fuori non è così pericoloso. Che diavolo vuoi che ti vengano ad attaccare? Che ne sanno di te, un po' tutti quanti? Il mio vecchio diceva che era sempre una questione di dare e prendere. Tu li fai vivere, quelli ti lasciano vivere.
Non si ammazzano mica per le strade tutto il giorno. Merda, fratello, che mondo sarebbe? Uno può anche abbassare la guardia, ogni tanto.-

Navigai per un attimo in acque buie solcate da un terrore antico e indicibile quando vidi la sagoma appena percettibile di Jonas gonfiarsi e soffiare.
Nella mia sviluppata immaginazione (avrei fatto meglio a soffriggerla nella televisione anche io? Hai visitato la tua biblioteca locale oggi? Fanculo, pubblicità progresso), la sua pelle si tese fino a scomparire in un piatto colore uniforme, e gli occhi aumentarono la loro massa oscura fino a trasformarsi in due pozzi neri.
Un teschio vestito con residuati militari comprati al mercato nero dell'esercito cominciò a sputarmi addosso delle parole, muovendosi forsennato nella stanza, gesticolando:

-Misericordia, Gulie, Misericordia! L'uomo che in fondo è buono!
Quanto ti hanno riempito la testa con questa merda?
Nessuno è la fuori per ucciderti, nessuno vuole il tuo scalpo!
Certo, una nazione di Padri Pellegrini pronti ad accoglierti nelle loro case odoranti di torta di mele.
Sai cosa facevano i Padri Pellegrini, Piccolo G ?
Scannavano gli indiani dopo avergli rubato il cibo, e poi accendevano i roghi per le streghe.
E tu saresti andato al college, piccola testa di cazzo? Cosa hai trovato, qualche bel professore dai capelli dorati che ti ha parlato delle meraviglie dell'amore?
Siamo tutti fratelli, in alto i cuori!
La verità è un'altra.
Sai che è vero, è vero che non ci sono gli uomini pronti a ucciderti lì fuori, no.
C'è tutto l'intero fottuto mondo, ci sono gli animali, le piante, il fuoco, gli uomini, gli scarti chimici, l'Uranio, il fottuto sole, i fottuti dei e anche la tua musica di merda e il tuo liquore scadente.
Il tuo vecchio era un bifolco illuso, come tutti quanti.
Si illudeva che niente venisse a strappargli la vita, e tremava come tutti sotto le lenzuola.
Era lì, a sperare che ogni faccia in mezzo alla strada non volesse piantargli un coltello.
Io non ci casco, io non ci sto.
Non mi farò trovare impreparato. Questa (indicò la capanna fatiscente, ormai ridotta a un incomprensibile sfondo sull'orlo della notte) è la mia fortezza, fuori, c'è un assedio. Ed io non faccio parte di un esercito indisciplinato che si farà fottere dal nemico solo per un boccale di idromele e qualche tetta. Io sono qui, pronto a resistere all'apocalisse, qui, chiuso nella mia dimora. Quello che non ho, non mi mancherà. Devo essere vigile.
Devo riposare più che posso, per le ore di veglia che dovrò fare durante la guerra.
Cosa mi importa delle fottute ore sprecate a scherzare in un locale di quart'ordine?
Meglio dormire. Dormire e riposare il cervello. Dormire, ecco, questa è una difesa suprema all'invasione balorda del tuo mondo merdoso. La mia fortezza interna.
Tu vai pure a fraternizzare con il nemico, grandissimo coglione.
Io non ho alcun bisogno di un mondo pronto a farmi fuori alla prima svolta.
Io ho costruito una fortezza e sono qui per difenderla, fino alla fine. Non mi avranno, piccolo coglione, né tu con la tua voce suadente, né loro con le loro armi.
Io ci sputo sul vostro mondo, testa di cazzo.-

Si fermò ansimando violento, che nell'ombra poteva sembrare anche un toro pronto a caricare.

-Allora perché mi chiami perché t'aiuti a fare scorte una volta al mese, Jonas?-
Gli chiesi, ma quasi per sbaglio, semi-paralizzato dalla scomodità di quel momento.

Il teschio in verde mimetico mi guardò carico d'odio, e poi indicò la porta con una lunga mano ossuta.

-Vai a fare in culo bastardo. Spero che ti aprano il collo da orecchio a orecchio, al tuo concerto del cazzo.-

Indietreggiai fino alla porta.
Poi senza dire una parola l'aprì, e mi rovesciai fuori dalla casa, sicuro che mai niente avrebbe potuto lavare via dai miei occhi quelle immagini e l'urlo che d'un tratto esplodeva nella mia testa, d'orrore puro.

Fuori la luna splendeva allegra e le stelle erano piccole fiamme nel cielo, l'aria era dolce e profumata, di torta di mele.










(e poi magari siamo tutti cervelli in un barattolo)

sabato 28 aprile 2012

Gianni Aiemanno!

http://www.iltempo.it/cronaca_locale/roma/2012/04/28/1337377-alemanno_ricandida_sfida_tutti_detrattori.shtml

È delle ultime ore la notizia della battaglia selvaggia che Gianni Alemanno farà per spiegarci i quattro anni del suo illuminato governo.
Cittadini de Roma!
Chiunque vorrà invitarlo a casa, sarà bene accetto. Se je date da magnà, ve spiega tutto, ve dice tutto!
Ha fatto 'nsacco de cose, aoh.
Pure a metro B.
Insomma, vada come vada, aggiunge sempre un posto all'ATAC (che c'è un parente in più)










venerdì 27 aprile 2012

Un sottile strato di cobalto






"...Yanez de Gomera se regordet cume l'era?
adess biciclett e vuvuzela e g'ha el Suzuki anca Tremal Naik...
Yanez de Gomera se regordet de James Brook?

El giüga ai caart giò al Bagno Riviera
e i hann dii che l'è sempru ciucch
stuzzichini, moscardini e una bibita de quartu culuur
abbronzati, tatuati i henn pirati vegnüü de Varees
la pantera, gonna nera, canottiera, cameriera
moev el cüü anca senza i gettoni
ma l'è che dumà per cambiàtt el büceer
Sandokan in soe la spiaggia cui müdand della Billabong
G'ha l'artrite e g'ha el riporto,
partiss per Mompracem cul pedalò
e i Dayki cun scià la Gazzetta
g'hann mea teem per tajatt el coo
i lassen la spada suta l'umbrelon e fan più danni con l'iPhone..."



"Stendi la coca sulla scrivania
ma con due caffè hai già l'aritmia
hai cerchi in lega e assetto ribassato
ma la tua Punto ha il motore scassato
chissà che cos'è che non ha funzionato
cattivo che non hai pagato, ti han scritto così...

Tua moglie è incinta e pulisce le scale
dai suoi ha ereditato la casa popolare
la tele vi aiuta a passar le serate
col megaschermo e le calze bucate
chissà che cos'è che non ha funzionato
il futuro te l'han pignorato, è andata così..."



Un giardino di coniglietti suicidi è nascosto dietro a un sottile diaframma.
Guardali negli occhi.
A volte sono prepotenti e vincenti.
Camminano su dei SUV mentre organizzano meeting sul loro iPhone e si stropicciano il vestito di sartoria nelle lunghe file del Raccordo Anulare.
Il loro schermo è una collezione di gadget elettronici.
La televisione al plasma e la caffettiera elettrica. Il forno a micronde e il frigo americano, quello che fa il ghiaccio.
Le scarpe a duecento euro, gli orridi gioielli d'oro o acciaio, che stanno su solo per il loro spropositato costo.
Come concubine nascoste dietro i loro paraventi.
Basta poco.

"...Accendete, spegnete, coprite. Che m’importa di queste lanterne? Quello che capisco è che qui, in questa casa, non ci sono esseri umani. Ci sono topi, gatti, cani, ma esseri umani, di certo no. Non è meglio, allora, andare lassù, in quella stanza, e impiccarsi?"


C'è un giardino di coniglietti suicidi nascosto da una serie di cazzate elettroniche e di costosi simboli di stato.
Basta poco che uno di loro verrà a guardarti negli occhi per farla finita in qualche maniera fantasiosa mentre ancora ti squadra.
Guardalo negli occhi. Rappresenta la tua chiamata.
Abbiamo avuto del tempo per illuderci di essere forti, con le nostre ore forzatamente felici e le applicazioni da scaricare a soli cinque dollari.
Siamo dignitosamente arrivati a non mangiare più pur di trovarci ancora un'altra estate in vacanza in qualche luogo pieno di altra gente che ha digiunato come noi.
Noi credevamo.
Che l'importante fosse la vacanza, non il digiuno.
Il segno di una vittoria evidente. Per i registi che orchestrano il grande spettacolo della nostra società.

Non siamo mai stati uomini dorati. Piombo placcato d'oro, quello sì.
Ma ora è arrivato quell'ovvio momento in cui la placcatura comincia a scrostarsi via.
C'è un coniglietto che ci guarda negli occhi e si toglie la vita.
Lui sa che quest'anno non basterà digiunare per andare in vacanza.
Cristo, non basterà neanche digiunare per comprare il cibo.

C'erano giorni in cui l'ultimo dei nostri problemi sarebbe stato trovare da mangiare.
Trascorsi. Quanta gente ora che digiuna a casa tua.

C'erano coniglietti capitani d'azienda. C'erano coniglietti operai. C'erano coniglietti impiegati. C'erano coniglietti al governo. Non che importi, alla fine.
"Siamo libri di sangue, dovunque ci aprano, siamo rossi dentro"
Dove diavolo l'ho sentita, questa?

Il gioco è finito. Te lo dice la tua fame.
Te lo dicono gli esattori a mani tese con sguardo truce.
Gli stessi che ti promettevano un futuro brillante, quella volta sorridevano.
Te lo dice un piccolo coniglietto di fronte ai tuoi occhi che fa volare via la sua anima con un colpo deciso.
Alla fine siamo soli, chico.
Si può essere talmente soli in una piazza moderna.

Come il tipo che si è fatto saltare il cervello in piazza Syntagma ad Atene.
Nei giardini, composto, con qualche parola di commiato.
Un rituale civile, e poi lo sparo.
L'esplosione che avverte gli altri coniglietti che uno di loro ha eseguito il passaggio.

Ed in lungo e in largo per tutta Europa si ripetono rituali educati o scomposti.
Parole d'addio ed epitaffi. Maledizioni o silenzi di tomba.
Morte poi galoppa, di qua e di là, perplessa da questo piano feroce.
Forse anche la guerra grande, aveva più senso.

Alla fine di questa era, vedrete, ce l'avremo fatta a salvare i paludamenti delle nostre istituzioni finanziarie.
Saranno molto utili per quella razza che ci sostituirà a seguito della nostra estinzione. Io punto sull'evoluzione dei bradipi, mi piace il loro stile.

C'è un giardino di coniglietti suicidi. Uno di loro è il nostro. Aspetta che la pressione sia arrivata al livello giusto, per venirci a chiamare.
Ed ora sono tutti eccitati.
La fame li attiva, li attiva la vergogna, li attiva l'umiliazione, la frustrazione che ogni giorno subiamo, sotto la guida illuminata della faccia di turno. Sono talmente disperati che ormai sono loro stessi a distruggere i paraventi dietro i quali ci abbindolavano. Forse tergiversano come possono, mentre la navicella che deve riportarli sul loro pianeta finisce d'essere approntata.

Sempre più rapidamente noi perdiamo il nostro schermo di cazzate, fino a scoprire il gran segreto. Che non siamo altro che inutili scimmie nude e indifese. O forse scopriamo, all'improvviso, che eravamo avvolti in un sudario di stronzate, perché eravamo già morti.
Suicidarsi è solo la formalizzazione dell'atto.

Il nostro coniglietto suicida non aspetta altro che la libertà.
In queste ore, vibra e si scuote come un pazzo.
Sarà per la voce rassicurante dei nostri leaders, con i loro nuovi piani per la crescita.





"La fine va da sé, è inevitabile"







giovedì 26 aprile 2012

Compressione/Espansione/Accelerazione


"...Vous savez qui je suis
Un homme pressé
Un homme pressé
Un homme pressé
J'suis une victime en fait
Un homme pressé
Un homme pressé
Un homme pressé
J'suis un militant quotidien
De l'inhumanité..." 


Una enorme ruota.
Accumula la nostra forza. Paradosso.
La conserva senza dissiparla.
Una ruota enorme che vediamo dal di dentro.
Nessuno sa dove la ruota sta andando, forse neanche i capifila.
Una ruota enorme.
Più accumula forza, più ne vuole.
Che prima si camminava ed ora si corre.
Se si rallenta, la ruota ci porterà via con sé, spezzandoci le ossa.
Se indugiamo qualcuno ci calpesterà.
Una ruota enorme.
Magari corre verso l'orlo di qualche precipizio. Ma nessuno ha pensato ai freni.
Non si deve desiderare la stagnazione.
Non è educato.

Come i giorni di tregua ti molestino in quelli di guerra.

Il fiato e la mandibola ti si spezzano a forza di cercare aria.
Alla tua ansia dici di non preoccuparsi, che state lavorando al progetto giusto.
Raccolta fondi, aumento di sapienza, programma visibilità.
I luoghi cambiano come fossero dentro una di quelle macchine fotografiche finte che vendevano tanto tempo fa ai turisti. Schiacci, e c'è la torre di Pisa. Schiacci e c'è Ponte Vecchio. Schiacci è c'è Piazza del Campo a Siena.
Non volo fino ad avere problemi di fuso orario, ma è come se ne avessi.
A volte sul treno, in macchina, mi chiedo dove sto andando. Dov'ero un'ora prima. Dove sarò tra due ore.
Tutto finisce come se le ore fossero i nuovi secondi.
Preziose si lasciano consumare come incensi speciali nel fuoco.

"...in questa razza umana
che adora gli orologi
e non conosce il tempo..."

Devo essere allucinato.
Una ruota fa girare i luoghi, una mente superiore muove le ore come fossero piume.
Io faccio finta di avere un piano. Lo dico a una bestia addormentata che mi sta sdraiata accanto. Colpa tua Calcare, se ora riesco a vederla. Ora devo stare attento a non svegliarla.
Faccio finta di avere un piano. Che ci penserò io. Che sono l'uomo nuovo che stavo aspettando.

Hanno pagato tutti quegli anni da saltimbanco. Riesco quasi a convincerla.
Nella mia allucinazione sono pieno di paura.
Paura di avere sbagliato, senza sapere cosa sia l'esatto è difficile dirlo. Paura delle ore che precipitano veloci come piombo in acqua, accumulandosi. Ho paura della mia velocità, sulle curve della strada, lì dove i muri la sbarrano. Ho paura di perdermi in una campagna desolata.
Nessuno andrebbe da nessuna parte, senza una terribile paura.
Il brivido che corre lungo la spina dorsale mi sconquassa tutto il corpo.

Questa corsa infinita mi fa sorgere dubbi. Se sia indispensabile ormai per chi è impegnato in battaglia, se abbia uno scopo, o se sia solo il mio quotidiano subire sempre più feroce di una prassi a cui tutti siamo costretti, sempre più lontana da qualsivoglia traguardo.

Distanze che ci affanniamo a coprire ma che aumenteranno sempre di più con l'aumento della velocità massima.
La tregua che ti lascia aperta una visione, che ti chiede di rallentare.
Ma rallentare schiaccia le ossa e ti sputa più lontano possibile. Bisognerebbe rallentare ogni cosa. Ognuno. Rallentare a ritmi più umani. Camminare.
Ma desiderare la stagnazione è reato. Desiderare la lentezza, l'umanità, è obsoleto, da quando dobbiamo avere desideri elettrici. La povera vecchia macchina che tanto ci spaventò un giorno, oggi è quasi derisa. Imperi nascono e muoiono nel giro di venti minuti.
Desiderare il contrario è un reato. Perseguibile per leggi non scritte.

Io non sono il tipo da corsa.
Sono pesante e resistente.
A correre non sono buono.
Parecchio incline ai reati non scritti.
Devo controllare direzione e velocità.

Voglio farlo.

Ma in un epoca di menti alveare, cosa importa uno?

Al massimo la fonte di una incongruenza nel sistema cybernetico.
O tutto intorno si cambia per adattamento.
O verrò eliminato dai programmi di debug.

Bug.
Un tarlo aperto, che cammina sul cervello.
Oggi voglio avere il diritto di camminare, respirare regolarmente, muovere le mie mani al tempo del mio sangue. Voglio essere l'uomo, prima del codice. Rifondare il mondo su di me.

La tregua non ti fa dormire, nelle notti di guerra.
Una scena di mimesi apertamente insufficiente del tuo desiderio riguardo alla pace.
Che non avrai.
Che non avrai...



(Se volete metterci della speranza, fate voi, non nomino mai queste cose, per paura di spaventarle (doppia, paura))








"Il soviet più elettricità
non fanno il comunismo"

mercoledì 25 aprile 2012

Ricordati di santificare le feste



25 Aprile, Festa della Liberazione dell'Italia dal dominio nazifascista.

Processato nel 1947 per crimini di Guerra (Fosse Ardeatine, Marzabotto e altre orrende stragi di innocenti), Albert Kesselring, comandante in capo delle forze armate di occupazione tedesche in Italia, fu condannato a morte. La condanna fu commutata nel carcere a vita. Ma già nel 1952, in considerazione delle sue "gravissime" condizioni di salute, egli fu messo in libertà. Tornato in patria fu accolto come un eroe e un trionfatore dai circoli neonazisti bavaresi, di cui per altri 8 anni fu attivo sostenitore. Pochi giorni dopo il suo rientro a casa Kesselring ebbe l'impudenza di dichiarare pubblicamente che non aveva proprio nulla da rimproverarsi, ma che - anzi - gli italiani dovevano essergli grati per il suo comportamento durante i 18 mesi di occupazione, tanto che avrebbero fatto bene a erigergli... un monumento.

A tale affermazione rispose Piero Calamandrei, con una famosa epigrafe (recante la data del 4.12.1952, ottavo anniversario del sacrificio di Duccio Galimberti), dettata per una lapide "ad ignominia", collocata nell'atrio del Palazzo Comunale di Cuneo in segno di imperitura protesta per l'avvenuta scarcerazione del criminale nazista. L’epigrafe afferma:
 
Lo avrai
camerata Kesselring
il monumento che pretendi da noi italiani
ma con che pietra si costruirà
a deciderlo tocca a noi.


Non coi sassi affumicati

dei borghi inermi straziati dal tuo sterminio
non colla terra dei cimiteri
dove i nostri compagni giovinetti
riposano in serenità
non colla neve inviolata delle montagne
che per due inverni ti sfidarono
non colla primavera di queste valli
che ti videro fuggire.



Ma soltanto col silenzio del torturati

più duro d'ogni macigno
soltanto con la roccia di questo patto
giurato fra uomini liberi
che volontari si adunarono
per dignità e non per odio
decisi a riscattare
la vergogna e il terrore del mondo.



Su queste strade se vorrai tornare

ai nostri posti ci ritroverai
morti e vivi collo stesso impegno
popolo serrato intorno al monumento
che si chiama
ora e sempre
RESISTENZA

(Piero Calamandrei)




martedì 24 aprile 2012

Il mio nome è Fvancesco.






"...Perché per colpa d'altri, vada come vada
A volte mi vergogno di fare il mio mestiere..."


Non pensarci vecchio.
È tutto un trucco.
Come gli orchetti del Signore degli Anelli che lanciavano le teste dei caduti di Osgiliath oltre le mura di Minas Tirith.
Vogliono farci crollare.
Ma anche io sono capace di citare Tolkien a caso e di appropriarmene indebitamente, come vedi.
Se non lo faccio, e perché sono capace di giustificare la mia esistenza senza rodere le ossa di qualcuno o rubare l'anima di qualcuno d'altro, e di fottermene dal dare qualsivoglia giustificazione.

Non è forse questo l'importante, vecchio?
Le parole degli stolti lasciano il tempo che trovano.
Pàvana è per sempre.

T'abbraccio, confrancesco caro.



(E se non sapete perché ho scritto tutto questo, andatevelo a cercare nella cronaca, non mi interessa neanche, di riportarvelo)

lunedì 23 aprile 2012

So You Want to Be a Hero

"Unglücklich das Land das Helden nötig hat."


"Congratulations
You managed to kill that boss you see
The grinning colossus
You're the hero we all wish we could be
You made it through the tunnel
Then you grabbed that fire on the wall
You jumped up above him
Then you burned the rope and saved us all
You burned the rope and saved us"   








Il bene è il male.


Sigalit Landau, artista Israeliano alla biennale di Venezia, ha dato al suo discorso sulla difficile convivenza della Palestina un titolo che mi ha fatto restare bloccato nelle sue installazioni per un po'.
"One man's floor is another man's feeling"


Il mestiere delle armi come ce lo raccontano i grandi blockbuster sembra una cosa divertente.
Attori depilati ed unti d'olio scendono tra la polvere a contendersi qualche bionda siliconata con gesti di danza. Lo scintillio delle armature appena fatte, bevute e battute memorabili a primo piano stretto.
Tutti vogliono essere l'eroe. L'eroe è il bene.

Il bene è il male.


Ci crediamo ancora agli eroi, come qualcuno crede ancora in Dio. Nel nostro, Dio, relativamente nostro, europeo, cristiano.
Quelle delle radici cattoliche dell'Euroblablabla.
Qualcuno crede in quel Dio di attesa per una redenzione impossibile, per una resurrezione in una vita ulteriore, terza o quarta.
Qualcuno crede ancora negli eroi, e li aspetta.

Dov'è Dio per chi lo aspetta? Dovunque voglia vederlo, sta a lui decidere quando.
Dove sono gli eroi, per chi li aspetta?
Un po' come in quegli altri film americani in cui uno sfigato viene messo in mezzo e salva una città dal cattivo riccone/messicano venditore di droga/mafioso italiano/criminale negro.
L'eroe è dovunque lo si voglia vedere.

Mi deprime vivere in un'epoca piena di eroi.
Apprendere a memoria le rubriche e le facce.
Ci sono prima di tutto gli eroi dell'antimafia.
Poi gli eroi del movimento LGBT.
Poi gli eroi del movimento ecologista.
Poi gli eroi degli studenti.
Poi gli eroi dell'antiglobalizzazione.
Poi gli eroi della lotta dei tagli alla cultura.
Poi gli eroi della lotta alla cassa integrazione, alla disoccupazione.
Poi gli eroi degli ultras.
Poi gli eroi della NATO.
Poi gli eroi delle rivoluzioni, specie i blogger, poi.
Poi gli eroi di Casa Pound.
Poi gli eroi della musica.
Poi gli eroi della televisione.
Poi gli eroi del cinema.
Poi gli eroi locali.
Una galleria di statue severe e di fedeli pronti a immolarsi con fede incrollabile.
Mi deprime camminare tra le gallerie che risuonano di inni. Non sono mai stato il tipo da cerimonia.

L'eroe è ovunque lo si voglia vedere, pronto a difendere con le sue armi e la sua vita il suo popolo adorante.
Lo guarda camminare, il popolo, e lo segue.
Lo sente aprire la bocca, e ripete a memoria quelle sante parole.
L'eroe è l'infallibile, in un mondo di errori.
L'eroe è il puro, in un mondo in cui "tanto il più pulito c'ha la rogna".
L'eroe è colui che ci guiderà verso un mondo migliore, fatto solo dagli Eletti, da coloro che l'eroe hanno seguito.
Perché l'eroe è un po' Messia di questi tempi.
E non si può essere eroe, senza essere Messia.

Una volta per fare l'eroe ti bastava picchiare i nemici sul cranio.
Rolando che sbriciola i Pirenei con l'Olifante, sudato e incrostato di sangue, si qualifica senza sforzo.
Tutto il resto in mano al buon vecchio Carlomagno (Re di Spagna, va nell'acqua e non si bagna, va nel fuoco e non si brucia).
Una volta per fare l'eroe, ti bastava essere l'assassino migliore.
Un matamoros come El Cid Campeador.
Cento, duecento o diecimila. Ammirevole e notevole la magia dei numeri sugli uomini.
Un eroe una volta era l'uccisore del male, il male una volta era qualcosa d'altro.
Che era tra noi, ma in incognito, maledetta quinta colonna.
Per tutto il resto era lì, oltre il mare.
Gli eroi andavano ad ucciderlo.

Il male era oltre il mare. Con le sue spie qui.

Il male era già il bene, ma questo rimase un mistero per lungo tempo, come la relatività generale e ristretta.

Nonostante tutto questo tempo, l'eroismo è in buona salute.
Vivo in un epoca piena di eroi.
Non che siano più raffinati di quei sacchi di carne ammantati di cicatrici e muscoli sgraziati che mietevano arti brandendo una spada.
Ma quelli di oggi, ecco, quelli sono anche dei profeti.
È inevitabile, ecco, la linea non c'è.
Allora devi essere un po' profeta.
La gente deve poter credere in qualcosa.
Deve poter aver fede.
Come in Dio.
L'eroe di oggi deve essere un po' Dio.
Lui è uscito a comprare le sigarette, e non è più tornato.


Io quando vedo gli eroi mi deprimo.
Tutti si eccitano fino a bagnarsi se al loro fianco compare la sacra icona di un qualche semidio minore.
Io devo essere ateo duro. O perlomeno, distante dalla nostra spiritualità ereditaria.
Che poi non è che sia automatico.
Gli eroi sono dove si vuole che siano.
Certe volte mi piacciono gli eroi, prima che lo diventino.
Quelli che neanche gli passa per la mente di diventare eroi.
Gente che fa solo qualcosa, perché ne aveva bisogno.
Che poi magari gli viene fuori qualcosa di grande.
E io li ammiro, che poi è una forma di invidia, ma così gentile.
Ti verrebbe anche voglia di parlargli.
Ma poi arrivano, i cacciatori di eroi.
E allora, lì ti allontani, cosa devi fare?
Quella turba urlante che si calpesta per raccogliere un pezzo di veste o un'oncia di sputo.
"L'eroe, l'eroe, è arrivato!"
Quel rumore fastidioso.

Ci sono gli eroi che non vogliono fare gli eroi.
Come i santi eremiti che andavano a nascondersi nel deserto.
E tutti giù a rompergli.
Guarisci mio figlio, guariscimi un piede, scaccia il demonio, scaccia la peste.
Che più miracoli gli fai, più quelli ne vogliono.
"E chi pensa all'anima mia?" dicono a un certo punto gli eremiti, come il prete nella storia sull'ultimo giorno della terra di Dino Buzzati, quando tutti gli chiedono confessione.
Che gli eremiti erano andati nel deserto a pregare e a digiunare e a farsi prendere a cinghiate dal demonio senza demordere.
E tutta sta gente che li insegue di qua e di là.
Eroe, sì eroe, ma c'ho altre cose da fare, avevo un progetto molto bello, lasciatemi fare!
Ci sono gli eroi che non vogliono fare gli eroi, ma la gente non li capisce.
Generalmente li mettono in croce.



L'eroe è proprio lì, dove tu lo vuoi vedere, un po' come il dittatore.
Il dittatore è un eroe. L'eroe di tutti coloro che hanno visto in lui l'eroe.
E o sei Coriolano o un monaco eremita che ti chiedono qualcosa magari gliela fai, ma poi non vuoi fare il dittatore, e ti ritiri in campagna.

Oppure capita che alla fine l'eroe lo volevi fare, magari da prima che vedessero in te l'eroe, magari dopo, e allora ti diverti ad essere l'eroe, e l'eroe chiede, e l'eroe comanda, perché l'eroe poi ha ragione, è lui il bene.
Un po' come Beppe Grillo o Benito Mussolini.
Grandi eroi, e sono sicuro, grandissimi dittatori.

Mi deprimo un po' quando guardo il mondo e lo vedo pieno di dittatori.
Dittatori della patria.
Dittatori dei ribelli.
Dittatori dell'arte.
Dittatori della finanza.
Dittatori dell'industria.
Ricordo quello studio sventolato da un qualche focus estate che diceva che il guerriero, l'eroe moderno, è il manager d'azienda.
Alquanto deprimente, lo ammetteranno tutti.


Mi deprime il nostro bisogno di eroi, nella nostra totale mancanza di idee.
Qualche falso profeta viene e noi siamo pronti a seguirlo per la sua bella voce ed i suoi motti di spirito. Niente sappiamo, a tutto obbediamo. Finché non sorga un eroe più possente.
Una fede incrollabile basata sulla nostra perenne paura di trovarci dalla parte del peccato.
Vogliamo i giusti, nella vita. Vogliamo essere i migliori.
Un controllo di qualità, e un marchio sulle nostre vite.
Tutta una questione di fede.
Siamo noi a crearci le catene che poi ci metteremo per seguire qualcuno, così spesso un truffatore, a cui chiediamo di liberarci dal male.

Ci sono gli eroi che sono morti perché credevano in qualcosa, qualcosa che forse era anche giusto. Ma poi sono morti, lasciando la loro memoria bella e pronta da violentare.

Mi deprime il nostro bisogno di eroi.
Gli idoli che adoriamo.
I megafoni.
Mi deprimono i megafoni.
Così metallici e impersonali. Come l'ordine di una entità superiore.


Così volete essere degli eroi?
Tutti vogliono essere gli eroi, al giorno d'oggi.
Per questo sono lì, prostrati, ad adorarli.
Perché il loro corpo, è tutto teso all'eroe.
Perché si possano annullare, nell'eroe.


E pensare che dovevamo cambiare il mondo, con il nostro lucido pensiero.
Ma la linea non c'è.

Questa è un epoca di eroi, di Draghi e di Monti incantati.











(tanto per mettere qualcosa che tutti possano fraintendere)

domenica 22 aprile 2012

4'33''




Una mente occidentale satura di per sé.
E poi satura d'oriente.
E di rumori assordanti e di progetti.
E di gas di scarico e burocrazia.
È alla fine inferma e fredda.
Nella cangiante attesa di un giorno che sta per morire.
Non sa altro che innalzare questa sinfonia.























(cigolii,soffi,ansimi,nani celebrali)

sabato 21 aprile 2012

Cosa rende l'amore di oggi così speciale, così delicato?




"Teofrasto, forse t'amai?"
chiese il poeta al suo quattordicenne
cuore.

"Può darsi che l'amore ci fosse
ma io ero distratto
dal colore, dall'odore
che le sue Converse facevano nel sole

E non c'era posto dove andassimo
che non aveva una fotografia
delle due nostre bocche unite
su una pizza unta e una bibita gasata."

"Dove finirò, cuore mio.
Io che le avevo già donato tutta la mia libreria
mp3
Trecentottanta artisti
per magia da me rinchiusi
la babele della musica
neanche una delle loro lingue mai parlai.
Ma più preziosi di un rubino, li donai.

Ed ora son perduti
I miei post in Ingrish su tumblr del vero amore
che è ingrassare insieme, o forse guardare
Big Bang Theory in salone.
Io che avrei mostrato
il nostro diario
di Facebook
ai nipoti. I punti dove lei rideva
"ihihihihihihihihih"
equina, rideva
dei miei link sui bambini down
vestiti
da patate.

Ma ormai non c'è più tempo
Disperato come idiota guardo il suo Netlog.
Che non aggiorna da due anni
che non aggiorna da due anni.
L'unica cosa che mi rimane è il passaggio
del mio cuore
"è passato fidanzato, ora single, poi sposato, relazione complicata"
E poi solo, solo.
Il mio cuore è un'icona di due pixel.

A chi dovrò rivolgermi cuore?
Se non passa questa febbre d'amore?
Da Assasin's Creed dovrò andare a chiedere pace?
A Zelda chiederò di strapparmi il cuore?
O a Metroid di sparare a questa testaccia
che l'ha persa per troppo onore?

Ah potessi urlare stasera il mio dolore.
Ma già mi chiamano gli amici del calcetto
e non ho ancora battuto quello maiale di Mario
ad Angry Birds per iPad. (2, eh)

Riposa mio cuore, riposa.
Un giorno forse il tempo porterà consolazione.
E troverai qualcuno che ti guarisca.
Magari con le tette di Belén soffici d'amore.

Riposa cuore mio, riposa.
Stasero giocherò in porta e mi tufferò
a parare il tuo dolore."

"Mi fido di te, Marino" disse il cuore
"Anche se è già da un tempo infinito che soffro d'amore
è Sabato scorso che vi siete lasciati
ed io non riesco a guarire
di questo vostro amore, che vi legava
da oltre sei giorni.
Mi fido di te, o Marino, mio dolce padrone!"








Serenamente approvata dal Ministero dell'Amore.

venerdì 20 aprile 2012

Divertirsi fa cagare





"Un mio amico scrittore che la penna non l'ha vista, 
Come fosse un nome, dico, che la penna non l'ha vista, 
Aveva la barba un po' lunga e molto riccia, e giurava tutto il giorno che smetteva di fumare. 

Poi smise davvero e ci fece un po' star male, 
E noi che alla fine si voleva un po' godere, 
Ma di cosa godi con questi morti di fame? 
Aperitivo è bere, ribere e vomitare."




Quello che dirò nelle prossime righe potrebbe provocare le più disparate reazioni, molte delle quali ben supportate dalla totale assenza di dialogo che ci è familiare, nonché dal nostro imperante senso di colpa (e di colpevolizzazione) collettivo.
Qualcuno dirà che parlo eppure sono compromesso fino al collo. Qualcuno dirà che sono noioso.
Ecco due obiezioni piene di buon senso.
Come sempre non potrei parlare se non fossi anche io un condannato di questo carcere. Quanto ad essere noiosi, credo sia proprio quello il punto.
Il nostro sottovalutare il potere della noia è quello che ci ha ridotto alle catene.

"...è un percorso laterale
una fluida divinità
una convergenza stilistica
con il primitivo preistorico
è l'attualità, è l'attualità..."


Notte.
Da sempre ottimo scenario per ogni storia.

"Era una notte buia e tempestosa"
Tutti lo conoscono da Snoopy, specie da quando lo spiaccicano sulle magliette e sulle borse.
Con buona pace di Edward Buwler, primo barone di Lytton, ancora prima di Charles M. Schulz.

Notte.
Banalmente ciò che segue il dì da milioni di anni.
Ricordo una edizione delle Mille e una Notte chiusa in una casa polverosa, quella che fu dei miei genitori prima di emigrare al nord.
Una Mille e una Notte illustrata da questi artisti moderni, architetture islamiche sporcate di metafisica di fronte a un cielo di un nero piatto, infinito.
Se dovessi chiamare un ritratto della Notte, prenderei quelle illustrazioni.

La grande Notte che ci annichilisce tutti quanti sul posto, aria di sconfitta al tramonto.

Sarebbe stupido non considerare che l'uomo è infestato da secoli dalla sua paura della Notte (notte può fare rima con Morte, in inglese Night è assonante con Death, che comunque non dimentica la sua natura di Knight.)

Sono secoli che l'uomo battezza le stanze con i suoi piani di fuga dalla sua mancanza di coraggio nell'affrontare una notte sola la sua noia.
Perché la notte è noiosa, lì dove la noia è pienezza del disagio di essere alla fine soli, intrappolati nel nero scuro di una stanza, infinito.
Millenni.
Per millenni ci siamo dati alle candele e al vino, al dado e alla musica, alla danza e ai falò, combattendo con armi smussate e da bifolchi questi possenti cavalieri.
Era una lotta faticosa e senza quartiere, non addestrati e teneri, ci lasciavamo ogni giorno alla loro mercé.
Non potevamo sperare, contro chi si nutre di anime e sentimenti neri, di vincere, noi che dovevamo anche pensare a lavorare ogni giorno per poter mangiare, bere, dormire, sopravvivere agli altri uomini.
Eravamo piccole bestie, e la Notte era la nostra custode e tiranna. La Noia. La Morte.


" E quando Amleto ebbe concluso la battaglia
quando furono bruciati tutti i morti
e la pianura ebbe bevuto il sangue
tornando alla tenda, vide qualcosa
che non aveva mai visto

Benedetto per la peste
per il gelo dei viandanti
benedetto per l'orgoglio e le vendette
occhi di fiamma e roghi nella notte stellata
per le tue stelle
che gli angeli accendono misericordiosi
Benedetto

Amleto vide il fango e le impronte
i mille passi dei suoi soldati
i vestiti dei morti, le monete
e gli ultimi avanzi di pasto
le selle strappate, e il cuore
battere nella gola dei cavalli

Benedetto nell'Apocalisse
nel silenzio degli eremiti
nei cadaveri dei santi
nelle mummie e negli scheletri
benedetto il freddo delle tue mura
e la paura per i bambini
Benedetto

Nessuna Ofelia, ma solo
oscura e improvvisa una pietà
per sé e per gli altri
Pensò Amleto: ora di nuovo aspetterò
che a uno a uno muoiano i miei amici
e i miei cani: la guerra
non è finita, è di nuovo guerra

Lascia che io ti parli
lascia che ti prenda
tra le mie braccia
dentro al tuo respiro
sento un altro
respiro contrario
Lascia che io ti parli
che ti parli

Amleto camminò tra acqua e nebbia
e nel mormorio del fiume
vide passare i feriti, vide sfilare
il suo esercito sconfitto
e tutta la notte scrutò il cielo
per trovarvi un segno
di pace impossibile

Benedetto il ritorno
benedette le case che accolgono 
gli scampati. Balliamo
Nessuno consolerà le ferite
Non guariremo. Balliamo
tutti dimenticheremo
nessuno dimenticherà davvero

Lascia che io ti parli
che ti parli..."



Per sconfiggere la notte c'è voluta una civiltà elettrica.
Non che sia vinta davvero, questo è chiaro.
Si è fermata a guardarci oltre le nostre lampade ad arco, ci aspetta nella quiete dello spazio (dove nessuno può sentirti chiamare aiuto).
Noi duri ci muoviamo invece da secoli sulla terra sempre più baldanzosi, sicuri ormai di aver vinto. Che la notte è sconfitta, ma questa non è una novità per noi.

La novità per la mia generazione è ben altra.
Siamo la truppa della sconfitta totale della noia, o anche detta, finalmente il proclama, la generazione della Festa Continua.

Notte, quello che era il tempo ancora per i nostri genitori di tornare in casa per trovare sonno e protezione è diventato per noi un momento di battaglia.

Per secoli l'uomo che siamo stati è stato un perdente.
La Festa era la sua arma più grande, come portare un ariete alle porte del buio cosmico. Non che ci vincesse. L'Ariete era presto bruciato, agli uomini facevan male le braccia a sostenerlo. Presto veniva abbandonata la Festa. Ma per gli attimi, o i giorni, che durava, la Festa dava all'uomo che eravamo l'euforia necessaria per resistere ancora ai dardi e alle pietre. La speranza di antichi partigiani asserragliati sulle montagne della loro mente.
La Festa era il rivolgimento delll'Ordine che ne ridava il senso. La Festa era la pausa di una fatica immensa nel vivere, e allo stesso tempo il ricordo motivante della vita stessa.

Poi è arrivato l'evo contemporaneo.
Questa libertà, questa uguaglianza, questa fraternità.
Un fiorire di lotte di liberazione dall'oppressione e dalla direzione.
Si può dire che la lotta più di successo sia stata quella per la liberalizzazione della Festa.

Notte.
Mi muovo per le strade lucide di pioggia con una automobile che ha visto giorni e padroni migliori. Agli angoli delle strade, pur se fosse Mercoledì sera, vedo insegne. Insegne che sono Pizzerie, Bar, Panini, Locali per la musica dal vivo, Locali senza musica dal vivo, Locali senza musica, Locali per il peep-show, Ristoranti, Ristoranti cinesi, il mio amico Kebabbaro, Associazioni Culturali nate solo per vendere birra e Sale Giochi con e senza Biliardo.
Dentro e di fronte a tutte una marea di gente che non si riesce a passare.
Sulle strade che si muovono, di fronte e dietro di me, Mercedes e utilitarie, SUV e vecchie Panda.
Tutte e tutti liberi di vivere finalmente l'ansia ambita dell'uomo moderno, trovare posto (citazione).
Aggiungerò io, trovare un posto dove stare, per non sentire parlare la Notte (la Noia).

Così, abbiamo battezzato la celebrazione della Festa Continua, che ricorre ogni giorno, tranne i  giorni di festa vecchi (quelli sì che sono noiosi).
Così, semplicemente, con i nostri pochi soldi in tasca rubati da qualche parente o racimolati in qualche lavoro castrante o se volete dei tanti soldi che avete voi ricchi di famiglia o voi banchieri moderni, con questi soldi, tanti o pochi, e la nostra fretta di vederli scivolare nelle tasche di un ospite qualunque, purché ci dia riparo dai nostri mostri.

Che cos'è questo, mi diranno, le taverne ci sono sempre state, diranno.

Vero, questo è vero, non ho detto forse che abbiamo sempre tentato di fuggire, maldestri.

Ma quando nel mondo c'è mai stata così tanta taverna, quando abbiamo avuto così tanti soldi, seppure oggi ci sembrano sputati, da poterci stare ogni giorno come dei bravi soldatini?

Una Festa Continua si aggira per le strade e per le piazze di qualunque città di questo vecchio continente, talmente lunga e senza speranza che oramai è logora e quasi inutilizzabile.

Pensate alle feste che avevamo quando eravamo dei perdenti.
Ora chi ricorda la felicità di un solo rito, la bellezza di un Natale, di una Pasqua, di un Ferragosto, chi ricorda le azioni civili che gonfiavano il cuore di un 25 Aprile, di un 1 Maggio, ci metto anche il 2 Giugno, per volermi rovinare.

Sono perse, come è logico che sia, nel fango delle nostre abitudini quotidiane.
Ogni giorno che passa per noi la Festa è lì, appena lasciato il cancello delle nostre case, ormai mai chiuso, sempre aperto su una strada dove non si aggirano più lupi o briganti, o perlomeno, oggi sono vestiti da Dolce & Gabbana.

Abbiamo perso la percezione per il susseguirsi continuo di feste giornaliere, non ha più senso quindi per noi guardare a un giorno come a "un giorno di festa".

Se questo ci abbia rovinato, è una domanda. Se l'ipertrofizzazione della Festa ci abbia in qualche modo impoverito.

Valutate.
Valutate anzitutto quanto abbiamo guadagnato. Divertimento continuo.
Per quanto possa suonare esaltante, non ho bisogno di tirare fuori Pascal per avere i miei sereni dubbi.
Divertire d'etimo è pur sempre separare, allontanare, dividere.
Il divertimento ci separa, ci allontana, principalmente dai noi stessi e dai nostri mostri (due cose che si somigliano come gemelli).

Questo può essere utile e necessario, ed è sempre stato uno stato di necessità in fondo.
Ma momentaneo, breve, spopolato. Questa festa e quella festa, a distanza di mesi conservavano tutta la loro potenza nel sollevarci, rimetterci in piedi, quella potenza di cui parlavo prima.

Ora che tutto è appiattito e solito, nessuna potenza rimane alla Festa Continua, se non un piccolo pizzicore da scossa elettrostatica. Presto dimenticato, e affogato nello stordimento.
La Festa Continua ci diverte, ma non soddisfa nessuno dei nostri stati di necessità.
Rischiando di ricadere sempre più nella Noia, ci spingiamo sempre più oltre, verso l'annullamento, una morte o un pigro addormentarsi nelle maglie di una vita senza utilizzo della mente (che è una morte un po' più peggiore.)

Ma anche senza considerare questo, pensiamo al divertimento che ci allontana dai nostri marosi più inquieti. Via dalla Buio e dalla Noia, dalla Notte e dal Dubbio.
Questo è confortante, in larga parte. Ma a guardare bene, ci ha allontanato per sempre, il Divertimento Continuo, da una parte di noi, e nell'incompletezza non facciamo altro che sentirne la mancanza, che sentirla bussare alle nostre porte, ma noi non apriamo, e non sappiamo darle un nome.
La Noia e il Disagio sottendono un potere dal quale siamo privati per sempre, o in larga parte.
Una chiave che serviva ad aprirci e a liberarci, attraverso condotti bui, è perduta.
Siamo alienati e distorti, come miserrimi buffoni.
Continuiamo a incontrarci con stanchezza afoni per parlare del nulla e guardare i muri.
Capirete che anche il contatto con l'altro è niente senza il contatto con sé stessi.


"...lo Stato dice bevi che una parte poi va a noi e 
fai guidar qualcun altro
dimmi quanti anni hai e in ogni caso poi 
fai guidar qualcun altro
sarebbe bello un giorno uscire per vederti e scoprire che 
che si può far qualcos'altro..."


Anarchica è diventata anche la produzione di Festa, per noi, un mero conguaglio economico, paravento per litri di birra venduti e cibo scadente sovraprezzato.
Venduta è anche la nostra paura e il nostro bisogno di non averne. A questo ci pieghiamo docili, coi nostri pezzi di carta colorata. Coriandoli ci danno, coriandoli ridiamo. Molto festoso.
Perché poi a pensarci, scopri che la Festa Continua non conviene mica per te, per le tue personalissime vergogne e riserve, per la tua bisogna di fuggire. Queste cose le sfrutta, le usa,  chi si è montato l'industria Festa, per l'unica passione che non sbiadisce mai, quella del guadagno.
Lento, continuo, assicurato.
Questa poi, dirlo è deprimente, è una onnipresente realtà. Una maglia svelata e scoperta, senza neanche più l'esigenza di assurgere a qualcosa di diverso, in fondo lo spirituale è morto per noi tutti. Commercianti e commerciati.

La nostra voglia di festeggiare, celebrare, è perduta, e se sia possibile ritrovarla è una domanda molto difficile.
Possibile che ci sia qualcosa che riesca a sopravvivere al fiume di fango della quotidianità, che ci porta avanti storditi dando a tutto il sapore della terra o della plastica?
Bisognerebbe fermarsi, bloccare il fiume, tentare di uscire.
Bisognerebbe avere voglia. Di annoiarsi e di soffrire. Di essere cattivi, ma davvero, non per un Toxic Discoset Vengance Party. Di imporsi dei doveri. Dei limiti. Delle questioni.
Ed è poi abbastanza uno scoglio in un fiume fangoso per trasformarlo in qualcosa di diverso?
Domande, domande indiscrete su questioni private.

"Le mie poesie non cambieranno il mondo" diceva Patrizia Cavalli.
E neanche queste scritture.
Che non sono che la traccia di una visione, un comizio a cui ad oggi partecipano a stento gli amici, o gli ammiratori, grano di polvere tra il fango.
E voi fate quello che volete amici dunque, d'un discorso pronunciato di quelli che stancano sempre di più, che sempre di più confondono la mente indebolita.
Fate quello che volete se vi dico, la libertà ci ha ridotto alle catene, come dicono, ed una delle maglie è quest'ansia che ci hanno messo addosso di cercare in giro per il mondo la Festa e il Divertimento in ogni dove, maniacali, disperati, come fuggiaschi.



Divertirsi fa cagare.
Perché ricordate che le monete sono lo sterco del diavolo.




giovedì 19 aprile 2012

Fascisti su Marte


Il fatto più buffo di questi giorni è rappresentato dal geniale manifesto prodotto da qualche genio ribelle della Destra romana, storicamente la più attiva e propositiva.









Ben pensando che una foto dei tumulti greci rappresentasse appieno lo spirito rivoluzionario del loro movimento di rottura e innovazione, i seguaci di Storace, quello del:"il fascismo male assoluto? Una cretinata" (Grazie Wil, continuate a Non Leggere il suo Blog)

si sono risolti nel mettere sul loro manifesta una foto di un corteo ellenico, ma tra le tante, gli abili comunicatori de La Destra hanno alla fine incollato sul loro compitino a casa una foto ben problematica.
Eh sì che questo ci dimostra che sarebbe bene non abbandonare mai lo studio del greco specie in questi tempi (guarda tu chi mi ritrovo a difendere, i frequentatori di liceo classico).
Riconoscere almeno le lettere li avrebbe potuti mettere sulla buona strada.
Al centro del pomposo manifesto di lotta presunta contro il governo Monti infatti si legge:

"Apopte petheni o fascismos"


Che grossomodo traduciamo in:

"Stasera muore il fascismo"



E qui si presentano vari casi:
1)La Destra ha finalmente archiviato l'esperienza fascista e ce l'ha voluto dire così. Speriamo nun lo sappia la moglie de Almirante, donna Assunta, che è capace che je da na panzata.
2)I fascisti so veramente rincojoniti come vuole la vox populi.
3)Il design del manifesto gliel'ha fatto qualcuno dei centri sociali, che di nascosto continua la lotta

Anche se a queste preferisco un'altra ipotesi. Che i fascisti non si siano accorti, o non si vogliano ancora confessare (come qualunque bigotto della domenica) che oramai sono intruppati in un fascismo ben peggiore del loro comico, nostalgico, annusamento di patte del Duce.
Un fascismo che ci mette tutti alla sbarra in un grande mercato della carne, dove un Francesco Storace che si fotte milioni di Euro alla Regione Lazio e monta su un servizio di spionaggio illegale, sette anni dopo è lider di un movimento di protesta che esiste solo nella testa di qualche vecchio sclerotico che vuole ancora votare fascio.
In realtà composto da giovani portaborse annoiati che neanche stanno attenti alle immagini che scelgono per fare i manifesti. Pagati alla giornata, pagati alla goccia di inchiostro.
Un fascismo delle immagini, dove di qualunque cosa vada di moda ci si deve appropriare per racimolare una decina di preferenze.
La Grecia val bene. Poi scopri che quelli che hai messo sul manifesto erano anarchici rossi che se ti vedessero per strada ti farebbero saltare in aria. Cosa importa in una nazione di persone con deficit d'attenzione? Qualcuno se ne accorge e si fa grasse risate.
La maggior parte capirà greci = buoni = noi.
Questi fascisti che sguazzano bene nei milioni del capitalismo. Che non sono altro che la farsa grottesca dei nostri stessi sbagli più grandi.


Alla fine l'unico errore che risulta sul manifesto è che la Destra si lamenti del Governo Monti.
In fondo, vivono già in un fascismo talmente perfetto che anche loro ne subiscono gli influssi senza accorgersene nemmeno.

Shangri-La del reazionario.


Ora noi cosa siamo pronti a fare per non cadere nella stessa rete, a dibatterci prendendoci a codate fino alla morte, mentre i pescatori sopra di noi ridono pregustando le nostre budella?
Ci vuole un guizzo in più, un guizzo in più, per trovare il mare aperto.






“C’è un’ideologia reale e incosciente che unifica tutti: è l’ideologia del consumo.
Uno prende una posizione ideologica fascista, un altro adotta una posizione ideologica antifascista, ma entrambi, davanti alle loro ideologie, hanno un terreno comune, che è l’ideologia del consumismo.
(...)Ora che posso fare un paragone, mi sono reso conto di una cosa che scandalizzerà i più, e che avrebbe scandalizzato anche me, appena 10 anni fa. Che la povertà non è il peggiore dei mali, e nemmeno lo sfruttamento. Cioè, il gran male dell’uomo non consiste né nella povertà, né nello sfruttamento, ma nella perdita della singolarità umana sotto l’impero del consumismo.”

Di uno che è morto ammazzato da un ragazzo fascista, a cui aveva scritto la sua ultima lettera politica.
Vedete un po' voi.




mercoledì 18 aprile 2012

Deportati in ritardo per un guasto al treno. Ci scusiamo per il disagio.









"...con l' ultimo suo grido d' animale la macchina eruttò lapilli e lava, 
esplose contro il cielo, poi il fumo sparse il velo: 
lo raccolsero che ancora respirava, 
lo raccolsero che ancora respirava, 
lo raccolsero che ancora respirava... "


In accordo con la mia precaria condizione di salute oggi sarò breve, e sarò greve (come offendere chiunque).
Ero, colto da dolori al basso ventre, seduto sul treno che mi avrebbe finalmente portato a casa dopo un faticoso quanto inutile giorno di frequenza all'università (che siamo costretti, anche con la malaria, altrimenti non ci fanno dar d'esame, o ce ne caricano altri venti libri, guardacaso scritti da loro).
Seduto sul mio treno almeno potevo accartocciarmi di dolore in santa pace.
Finché, per la fortuna storica che premia gli eventi improponibili, una delle porte del treno, sulla mia splendida carrozza, ha deciso di bloccarsi in aperto, con quel rumore assordante, quel fischio prolungato d'allarme. E luce rossa.
Piegato dai miei crampi pensavo che se avessi con cura mantenuto la calma e il posto tutto si sarebbe riparato, tutto sarebbe in fondo andato a posto.
Naturalmente dieci minuti più tardi i dolori erano ancora più forti e la porta fieramente aperta, con un gruppo di ferrovieri a curiosarvi intorno.
Ho capito di dover camminare, se non volevo finire seppellito lì, nel ventre di plastica ferrigna di un treno regionale.
A e 40 parte il prossimo.
Binario dopo.
Arrivo che già c'è più gente che tra le prime file di un concerto dei Bone Machine (per chi non sapesse di cosa sto parlando, pensi alle poste, che si tranquillizza).
Penetro nel fondo con il coltello del mio fastidio, fino a bucarmi un angolo schiacciato alle porte opposte di quelle d'entrata.
Il dolore si è fatto costante e pulsante, ed ora sono in piedi, a tenermi in bilico e con poca forza, con al fianco una signora che sta per avere una crisi di panico e la borsa che mi sega le dita.
La mia misericordia è già sottile come un'ostia quando dall'altoparlante una voce femminile sbrigativa annuncia che il treno precedente è stato cancellato (quello su cui ero seduto all'inizio) e che i viaggiatori possono utilizzare per raggiungere le rispettive destinazioni il treno su cui sono in piedi ora schiacciato da cani, dato che da diretto si fa per miracolo locale, e si farà tutte le fermate.
Qualcuno vola in stile Bruce Lee attraverso la mia misericordia con un calcio volante e la spezza in due.
Arrivati al livello di cubitazione critica, qualcuno si affanna ancora sulle porte, e mentre sto quasi inglobando una minuta donna bionda comanda con voce imperiosa: "Andate avanti!".
Un geometra di certo si azzarda a rispondere: "Ma se non c'è spazio!"
La voce imperiosa da fuori irride il povero tecnico senza fede: "Avanti, avanti, che c'è spazio, non lo vede? Vada più indietro!"

Ed è in quel momento che mi viene di incazzarmi, con il dolore che mi attraversa tutto il basso ventre come una bomba sul punto di detonare.
È a quel punto che mi verrebbe di dire alla voce imperiosa e dirigente:
"No, non c'è lo spazio, non c'è. Fin quando crederemo che qui c'è uno spazio saremo fottuti, vede. Fin quando penseremo che in un treno con una porta scardinata e le luci rotte e pieno di stronzi c'è posto, lo prenderemo in culo. Qui non c'è posto. Questo non è un posto. Questi è un tempo. Questi sono sessant'anni di liberismo dei morti di fame. Queste sono quelle riforme di cui il paese aveva bisogno. Questo è il beneficio della concorrenza, l'indipendenza economica, la privatizzazione dei servizi. E lei pretende che ci sia posto. Non c'è nessun cazzo di posto su questo treno, né sugli altri di questa fottutissima stazione. I posti costano, è meglio venderle i tempi che corrono, i tempi moderni.
C'è posto per tutti, che idiozia, un impossibile sogno di massa.
Meglio puntare a una democratizzazione dal basso, uomo col vocione.
Non c'è posto per nessuno.
Vuole protestare?
Era ora!
Venga, dirottiamo un Fecciarossa o un Fecciargento,li i posti ce li hanno sotto il culo!
Esproprio di posto a Luca Cordero di Montezemolo!".

E via, una banda pirata all'assalto di una supposta di metallo maidiniitali.

Ma come fai a spiegargli queste cose all'uomo col Vocione, nella sua camicia e cravatta blu elettrico, e la sua borsa da uomo in carriera di quarant'anni.
Per un po' provo con la voce piena di veleno ad aizzare le vecchie della fila di fronte contro il comune nemico FF non più tanto SS, ma sempre più SS e basta.
Dopo avermi dato spago credendomi un semplice metereopatico, le vecchie si ritirano in buon ordine dopo avermi scoperto ateo e mangiapreti, nonché sulfureo (sarà colpa del meteorismo). Vecchie bastarde.
Con la mia codaliscia e il mio zoccolo fesso, le corna caprine e la pelle rossacea, rimango all'improvviso isolato dall'intero vagone, che ormai pensa:

1-Alle chitarre Ibanez imitazione coreana e alle batterie Pearl da 2500 Euro
2-Ai maglioni che mi ha sempre comprato mio marito ogni volta che uscivamo di casa.
3-Alle pillole per la pressione e a stamattina che era pieno anche il metrò.

"Certo che fare questa vita per trent'anni, impossibile" dice la batteria Pearl

"Io guardi, se non c'era lei a trat
tenermi, me ne ero già uscita, con tutta questa ressa" dice una vecchia traditrice.



"Il problema è che qui in Italia nessuno ha mai fatto una rivoluzione seria" soggiunge la vecchia, prima di continuare a parlare di cazzate.











Mi sono spento serenamente dopo un'altra ora di agonia, e fermate locali.